Le 4 canzoni che sarebbe stato meglio non sentire a Sanremo!

Non tutte le ciambelle vengono col buco. È una regola che oramai si applica a tutto, comprese le canzoni del Festival di Sanremo.
Difatti, grazie alla 69° edizione della kermesse musicale abbiamo scoperto nuove ventiquattro canzoni, ma non tutte sarebbe stato il caso di ascoltarle, soprattutto su quel palco. A favore del Direttore artistico Claudio Baglioni, c’è da dire che, secondo noi, solo quattro canzoni su quelle presentate non avrebbero dovuto partecipare alla gara, o meglio, sono dei brani che poco hanno lasciato il segno durante le singole serate.
Parliamo rispettivamente di “Aspetto che torni” di Francesco Renga, “Un’altra luce” di Nino D’Angelo con Livio Cori, “Parole nuove” di Einar e “Un po’ come la vita” di Patty Pravo e Briga.
Francesco Renga ha sempre portato al Festival canzoni che poi, nel tempo, si sono rivelate colonne sonore della vita di ognuno. Non in questo caso, non in questa edizione. Seppur la canzone porta la firma di un autore prestigioso dell’altezza di Bungaro, parli dell’attesa della persona innamorata e Renga faccia di tutto con la sua voce per dare credibilità e significato a ciò che canta, “Aspetto che torni” non arriva, non emoziona e non colpisce. Neppure dopo il quarto ascolto. È un brano che si addice alle capacità vocali del cantante, ma manca di personalità e, di conseguenza, non fa brillare lo stesso Renga. Forse, era meglio non partecipare.
Nino D’Angelo e Livio Cori, invece, portano sul palco le loro origini napoletane con una canzone scritta in dialetto, ma che per il Festival è stata adattata. Ci sono, infatti, parti in dialetto napoletano e in lingua italiana. Il brano nasce come un dialogo tra due generazioni rappresentate rispettivamente dai cantanti. L’idea è buona, anche se non originale. D’Angelo torna all’Ariston come “padrino” di Livio Cori, ma “Un’altra luce” è una canzone con delle buone intenzioni non mantenute nell’esibizione. Sul palco, i due cantanti si impegnano, danno se stessi, ma manca sempre qualcosa. È come se non andassero oltre quella barriera che c’è tra l’artista e lo spettatore e quindi la performance risulta sterile e la canzone non si comprende.
“Parole nuove”, invece, è la canzone dell’esordio di Einar al Festival. La canzone parla di un amore combattuto e contrastato per il quale si cercano parole nuove da dedicare. La canzone è orecchiabile ed è anche molto radiofonica. Il problema è Einar, appunto. Dato che è alla sua prima esperienza, sul palco il ragazzo sembra così intimidito e preoccupato che risulta fuori posto e fuori contesto. Reduce dall’esperienza televisiva di Amici18, non arriva al pubblico nazional popolare del Festival l’artista Einar, ma solo il volto di un ragazzo impaurito dal momento.
Per ultima, solo per un mero caso, “Un po’ come la vita” di Patty Pravo e Briga. Nessuno avrebbe scommesso su questa coppia: così diversi per età, per esperienza musicale e per modo di approcciare alla vita. Oggi sappiamo che i non scommettitori avrebbero fatto bene. Briga e Patty Pravo, infatti, sono la coppia incompatibile per eccellenza del festival. Avremmo potuto accettare questo connubio per una bella canzone, ma non è così. Briga si è snaturato rispetto al genere rap a cui appartiene. Patty Pravo oramai è calante e per lei le note musicali sono più un’intuizione che un modo necessario per cantare. Dopo la quarta serata, anche i più curiosi per natura non sanno cosa cantano i due artisti, ma tutti sono presi da questa coppia così amalgamata male da far pensare che era così tanta la voglia di esserci a tutti i costi che valeva tutto.

Sandy Sciuto