Google vs Università: tra formazione intensiva ed utilità sociale

Martedì scorso i siti online dei più importanti giornali nazionali ed i blog specializzati in tematiche web&tech sono stati invasi da un annuncio dirompente: Google lancia la sua università.

Un’affermazione forte in partenza, che rasenta quasi l’incredulità quando si viene a scoprire che tale “università” ha una durata di sei mesi. Tutto questo avrà il costo di circa 300 dollari. Ti piace vincere facile eh?

Come prevedibile, il dibattito si è infiammato e così si sono alzate le barricate dei “è vero, il certificato vale come una laurea” contro quelle dei più scettici ed attendisti.

Google Career Certificates: di cosa parliamo?

Va sottolineato che Google non definisci tali titoli “lauree”, ma li chiama per quello che sono: Google Career Certificates. L’idea di rendere disponibili questi particolari corsi intensivi a tutti è sorta dopo aver sperimentato una formazione simile per dipendenti già assunti in Google, non laureati, ma volenterosi di apprendere competenze per le nuove professioni legate al mondo IT.

I corsi, ovviamente, non sono destinati a formare gli individui per tutte le possibili sfaccettature lavorative, compito affidato alle classiche università, ma si riferiscono a tre professioni in particolare: project manager, data Analyst e UX Designer.

Ruoli, quindi, che all’apparenza possono risultare essere molto “pratici”, in cui il successo è legato sì allo studio e alla teoria, ma forse anche ad un buon training on the job.

L’obiettivo di Google, come riportato dalla stessa azienda, è quello di offrire opportunità di lavoro remunerative anche a coloro che non possono permettersi la rata di un college americano, fornendo alla società “manodopera altamente qualificata”, ora più che mai fondamentale in questo momento di crisi e di forte trasformazione digitale.

Google Career Certificates: un’opportunità per la società a stelle e strisce

Il disegno di Google è nobile e pare quasi voglia sostituirsi ad uno Stato che spesso lascia indietro chi non è fortunato economicamente, ma ha tanto voglia di fare ed è soprattutto sveglio. L’istruzione di centinaia di giovani su tematiche tech e di analisi dati è qualcosa di importantissimo, che va coltivata e portata avanti nel modo più efficiente possibile.

Allo stesso tempo, però, non bisogna pensare di dover finire tutti a lavorare per Google. Sarà anche il futuro, sarà redditizio, sarà interessante, ma non è detto che tutti debbano diventare esperti di dati. Non solo per preferenze o passione, ma soprattutto poiché è fondamentale cercare sempre di differenziarsi, di non cedere alla tentazione di una facile uniformizzazione delle competenze.

Le teorie economiche ci insegnano che le specializzazioni tecniche e scientifiche, legate fortemente ad un’intensa operatività e praticità portano ad un rapido sviluppo, ma non sono tutto. La forma mentis costruita dai sistemi universitari risulta essere ancora importante, magari non da subito, ma sicuramente nel lungo periodo.

Onore a Google per aver deciso di offrire ai meno fortunati un’opportunità di carriera molto interessante e stimolante, ma ora sta al sistema universitario statunitense reagire, non per combattere, ma per lavorare in sinergia con il gigante di Mountain View, diffondendo utilità sociale. 

Paride Rossi