Dal «Treno del sole» al «Pacco da Giù»: terroni ieri ed oggi

Di Domenico Arcudi per Social Up.

Dal secondo dopoguerra ad oggi, le migrazioni dei «terroni» non hanno mai avuto fine; sebbene – adesso – esse siano non siano più «di massa», sono ugualmente consistenti.

I nostri nonni e genitori ricordano bene i treni affollati che partivano dal sud, passando per lo Stretto di Messina (come nel caso dell’Espresso 1943, noto anche come il «Treno del Sole» che partiva da Palermo Centrale per arrivare alla stazione di Milano), e i migranti, con tante valigie al seguito, tutte legate con lo spago. Essi, come i contadini inglesi, durante la rivoluzione industriale, partivano alla volta delle città industrializzate, per reinventarsi operai. Era il 1955-1970; la FIAT e le grandi aziende di stato, che ancora non avevano investito nel sud, avevano fatto assunzioni massicce di personale lavoratore.

Stabilirsi, per loro, non è stato facile: per via del loro provenire dal sud e per i loro trascorsi nella terra agricola, vennero apostrofati come «terroni»; in più, vi era il luogo comune che essi fossero inaffidabili e disonesti, perciò era ricorrente trovare, in alcuni punti, cartelli con su scritto «non si affitta ai meridionali».

Col passare del tempo, sono cambiati i soggetti in viaggio e le motivazioni: i protagonisti sono ragazzi appena diplomati o laureati, che accettano di spostarsi verso il settentrione, con treni o con mezzi low-cost (aerei o autobus di linea) per studiare e lavorare, seppure a tempo determinato.

Numerosi, sono i «terroni fuori-sede»: ragazzi che lasciano la loro terra e le loro famiglie, uscendo dalla «comfort zone» e adeguandosi allo stile di vita dello studente fuorisede: condividere i propri spazi e le proprie abitudini con altri ragazzi, mangiare piatti precotti e insipidi, se non addirittura roba proveniente dai fast food, e spostarsi in metro, bus o condividendo mezzi in base all’occorrenza, attraverso servizi di bike-sharing. I genitori (ma anche i nonni), consapevoli dei salti mortali da essi fatti, cercano di aiutarli, inviando loro quel che avanza dal loro stipendio (o pensione) e delle scatole, con all’interno prelibatezze culinarie tipiche del sud e non solo (anche beni di prima necessità): i cosiddetti «pacchi da giù», diventati famosi grazie alla sitcom «Casa Surace».

Da qualche anno ad ora, in questo caso, il termine «terroni» non è più da ritenere un insulto: per molti di loro, essere «terroni» è da ritenere un vanto; non per niente è nata la pagina Facebook denominata «Il terrone fuorisede» (i cui amministratori hanno pubblicato, nel 2017, un libro intitolato «Come dite voi al nord?», pubblicato da Rizzoli Editore), che ironizza sui comportamenti dei meridionali, nel quale vi è un capitolo sano dedicato al «pacco da giù», che è una manifestazione d’affetto da parte dei genitori e dei familiari, un eufemismo per dire al loro congiunto di averlo pensato. Inoltre, nel medesimo libro, emergono quei gap – comportamentali o culturali – che emergono tra i ragazzi del Nord e del Sud Italia, con la differenza che quest’ultimi – a grandi linee – si sentono uniti dalle tradizioni e, quindi, meno soli.

I «terroni fuori sede» sono l’ultima speranza di un Sud martoriato da politiche selvagge, che non hanno mai aiutato mai i giovani a realizzarsi professionalmente a pochi passi da casa; sono quei ragazzi che hanno scelto di crearsi un avvenire lontani dalla propria terra, pur facendo qualche sacrificio, per ritornare vittoriosi e dimostrare a sé stessi, ma anche a chi li ha sottovalutati, che ce l’hanno fatta.

redazione