Che fine ha fatto la Grecia?

Di Luca Sardella  per Social Up!

Durante l’estate scorsa 9.9 milioni di greci hanno partecipato attivamente al referendum per decidere se intraprendere o meno il piano economico proposto dai creditori internazionali. Sembrava poter avvenire una delle più eclatanti dimostrazioni democratiche della nostra epoca, una dimostrazione di forza decisionale popolare, alquanto rara di questi tempi. La Grecia ha scelto di non affidarsi ai creditori internazionali, i greci hanno scelto di costruire un muro di indignazione nei confronti dell’Unione Europea. Ma facciamo un passo indietro.

La Grecia appartiene all’immaginario collettivo dell’umanità. Quasi chiunque, durante gli anni scolastici, ha avuto modo di incontrarne la cultura, la lingua o la storia. La Grecia classica ha cambiato faccia al mondo e quella sensazione di dovuto rispetto che si prova quando la si nomina è senza dubbio giustificata. I secoli passarono, i fasti della civiltà greca si spensero lentamente, facendo strada ad una nuova era del popolo ellenico.

Era il 1981, la Grecia entrava a far parte della Comunità Economica Europea. Il sentimento di cooperazione che era possibile respirare in Europa era maggiore e la spinta verso una costante espansione della Comunità era quasi un’ossessione. L’aggiungere stelline al cielo di una bandiera procedeva senza guardare in faccia la realtà. La Grecia, dal Novecento in poi, si è sempre dimostrata una nazione economicamente instabile. Costanti conflitti, innumerevoli problemi con creditori esteri e un territorio non facile hanno portato la Grecia ad un punto di non ritorno. Le condizioni economiche al momento dell’ingresso nell’Unione Economica Europea non erano per niente favorevoli. L’indebitamento stava diventando un metodo per ottenere consensi politici, e l’unico settore in salute in Grecia era quello del turismo. Il primo grande campanello d’allarme risale al 2010, quando scoppiò la crisi del debito sovrano greco. Mancavano i soldi per pagare gli interessi su un debito ormai superiore ad una volta e mezza il Pil. L’Unione Europea non ha risposto prontamente come avrebbe dovuto ed il mondo intero si è accorto della debolezza delle banche europee nei confronti degli stati periferici annessi all’Unione.  Il resto è storia.

Per sei anni le disavventure di Atene, le fibrillazioni dell’euro e le colorate uscite di Yanis Varoufakis hanno occupato gli schermi dei nostri televisori e le prime pagine dei giornali. Le parole del presidente Alexis Tsipras riempivano le nostre case dopo la vittoria del NO al referendum del 5 Luglio 2015: “Abbiamo dimostrato che la democrazia non può essere ricattata”. Le persone credevano e parlavo di un nuovo inizio, di un potente schiaffo ai poteri forti che controllano e attanagliano le nostre tasche senza però nessuna cognizione di causa. Sembrava che il mondo fosse fermo ad aspettare cosa potesse ulteriormente accadere in Grecia, come se gli avvenimenti potessero in qualche modo influenzare indelebilmente le nostre esistenze.

Oggi però questo argomento sembra non andare più di moda. Si potrebbe pensare che il motivo sia la salute della Grecia, che la crisi sia finita e che il paese, forte del risultato dell’ultimo referendum, sia in fase di ripresa. Ma questa è fantascienza. La Grecia rimane una nazione profondamente in crisi, ricca di conflitti interni, incapace di autofinanziarsi e impotente di fronte al grave problema dei migranti che la sta vedendo protagonista nell’ultimo periodo. Fino a quando è stato necessario parlare a tutto il mondo in termini economici, a volte incomprensibili ai più, si è fatto della Grecia un tema di dibattito quotidiano, l’allarme rosso del momento. Ma perché negli ultimi mesi l’informazione si è placata? Perché non siamo stati informati delle guerriglie urbane che i cittadini di Atene hanno scatenato? Perché lo sciopero degli agricoltori che hanno invaso le autostrade del paese bloccandone l’accesso non ha fatto notizia? La disoccupazione è arrivata a livelli altissimi, l’economia sembra non riuscire più a ripartire attraverso nessuna risorsa e, nel frattempo, come in ogni periodo di profonda crisi, i partiti politici estremisti stanno prendendo il sopravvento.

La nascita della Comunità Economica Europea ha prodotto un clima di apparente pace e collaborazione. Ha provato a suscitare nelle persone la sensazione di potersi sentire a casa anche a migliaia di chilometri di distanza, creando l’idea di civiltà in movimento, non strettamente radicata nel proprio paese d’origine. Ha permesso alle persone di perdere sensibilità nei confronti di problematiche economiche e sociali, perchè ormai considerate globali, non locali. Poi, come un fulmine a ciel sereno, è arrivata la crisi greca che ha dimostrato al mondo intero che dall’Eurozona si può anche essere schiacciati e travolti senza nemmeno rendersene conto. La Grecia è riuscita a mettere in crisi l’unico valore che sembrava accomunare tutti i paesi aderenti: la fiducia. Ha tolto stabilità e sicurezza ad un progetto che seppur maldestro sembrava potersi barcamenare nel tempo. Migliaia di greci sono caduti in miseria, alcuni protestano attivamente altri silenziosamente rischiano la vita o se la tolgono. Ciò che è successo in Grecia potrebbe risvegliare gli animi di persone ormai stufe della loro miserevole condizione oppure, come i giornali e le televisioni hanno dimostrato, potrebbe semplicemente rimanere un ricordo lontano, un leggero mal di testa che con un po’ di riposo passerà da solo. Un fattore fondamentale nella vicenda greca è quali interessi le più grandi potenze mondiali nutrano nei suoi confronti. Parliamo di interesse economico ovviamente, non umano, non civile. I principi di fratellanza che dovrebbero essere alla base di un’organizzazione come L’Unione Economica Europea possono aspettare, in attesa di un bagliore di umanità che illumini le menti dell’uomo, forse da troppo tempo offuscate dal Dio denaro.

redazione