I ragazzi italiani? Tutti dei “mammisti”!

Il mammismo è un termine tutto italiano per definire l’eccessivo attaccamento, a volte morboso, di un figlio, non più in età infantile, nei confronti della madre e viceversa. Una volta veniva chiamato complesso edipico o sindrome di Peter Pan ed era una malattia.
Ma in passato, si trattava di una tradizione popolare specie al sud, laddove i bambini avevano più contatto con la mamma casalinga che col padre che lavorava fuori casa. Questa modello culturale è, ovviamente, scemato negli anni grazie al progresso e all’equiparazione sessuale che ha portato i padri ad essere più partecipi alla vita familiare e alle madri anche loro occupate in attività lavorative.
Ma poi le cose sono cambiate di nuovo, ed in peggio.
Dal termine mammismo è derivato quello più peggiorativo ed offensivo di “mammone” riferito ai figli che in età avanzata restano ancora legati ai genitori, convivendo per motivi economici e di convenienza.
Oltre certi limiti, il mammismo, dovuto ad un eccessivo attaccamento alla propria madre che perdura anche dopo l’età adolescenziale, può portare a problemi psicologici e comportamentali come dimostrano i numerosi giovani che trovano difficoltà a separarsi dal nucleo familiare per crearne uno proprio, oppure i conflitti che derivano quando, dopo il matrimonio, il figlio da più importanza alla madre che alla moglie. Tanto la mammina è sempre lì a braccia aperte ad aspettarli e come diciamo noi napoletani, “e figlje so piezze ‘e core”.
Mammismo o sindrome di Peter Pan che sia, in molti casi si tratta di una malattia che coinvolge entrambi i soggetti, rendendoli spesso inconsciamente infelici, con la madre che ostacola involontariamente la crescita e l’indipendenza del figlio e costui che si troverà sempre più in difficoltà nel momento in cui deve prendere delle decisioni o rimanere per troppo tempo lontano dalla madre. E’ il cordone ombelicale che virtualmente non è stato ancora tagliato, dove l’uno ha bisogno dell’altro in maniera morbosa.  Questo porta la madre ad essere iperprotettiva nei confronti del figlio, a prendere possesso e fare parte della sua vita, fungendo da filtro,  ostacolando, così,  tutte quelle esperienze anche negative e spiacevoli che sono utili, invece, al ragazzo per “crescere” a livello emotivo e sociale, e di essere, poi, in grado di fare delle scelte autonomamente e di accettarne le conseguenze.
Non c’è da meravigliarsi se poi sentiamo parlare spesso di sindrome depressive, di matrimoni che si rompono in poco tempo o di giovani che scappano o si tolgono la vita. Loro non erano preparati a vivere tali esperienze, vivendo ovattati, sconfortati o ostacolati!
Rispetto al passato, il progresso ha portato enormi peggioramenti in questo ambito. Appena 40 anni fa, i ragazzi, già in età adolescenziale, sentivano il bisogno di autonomia e libertà ed erano considerati “uomini” perfino prima del raggiungimento della maggiore età. Oggi, come una pandemia, si assiste all’opposto, con molti adolescenti che si sentono ancora dei bambini e con maggiorenni che non possono fare a meno dei genitori, genitori che a loro volta li trattano ancora come dei bambini.
Questo comportamento allontana di molto l’età dell’indipendenza e la danneggia indubbiamente.
Se è vero che il buon giorno si vede dal mattino, un adolescente che ancora si accuccia tra le braccia dalla madre deve capire che così facendo non sta vivendo appieno la sua vita, che le esperienze non fatte oggi non avranno lo stesso significato e valore se fatte successivamente, che è il momento per lui di  fare le sue scelte, anche se diverse da quelle imposte dai genitori. La sua vita da cittadino del mondo deve iniziare e lui ne è il protagonista, con o senza i genitori a fargli costantemente da balia. Diamine, la forza, l’intraprendenza, la creatività, l’apertura mentale, la gioia di vivere ma anche l’incoscienza e l’azzardo che si hanno a 18 anni non si avranno più a 30!
Che cazzo aspettate a vivere da persone più mature e coscienti la vostra giovinezza senza stare là a chiedere o raccontare tutto alla mammina come dei bamboccioni?! Può suonare assurdo ma a 16 anni tu potresti già essere padre, lavorare, produrre, essere una “persona” vera ed attiva e non il bamboccio di mamma! Che rabbia mi fate!

Ma cresci!

L’assenza della parola mammismo o di vocaboli adeguati in tedesco, inglese, danese, svedese e chi più ne ha più ne metta, lascia capire che questo è prevalentemente un problema italiano, un paese bigotto per eccellenza. Non posso non ricordare il monito che un professore di scuola elementare fece a mia madre che, in tempi non sospetti,  accompagnava mio fratello ogni giorno a scuola : “Signora, suo figlio non diventerà mai un uomo!”
Secondo alcune statistiche, in America come in Svezia, la fascia d’età dei ragazzi che cercano di uscire di casa e di entrare nel mondo per essere autonomi, va dai 18 a 25 anni.  In Finlandia l’età media delle ragazze che lasciano i loro genitori è di 23 anni. E in Italia?
Inutile dirlo, siamo molto, molto lontani!

redazione