William Holden, il sorriso irresistibile di un finto bellimbusto

“Andiamo”. Non c’è bisogno di dire altro. E’ un invito secco che risuona con la naturalezza di uno sparo: il capo raduna i suoi tre compari  e insieme si armano fino ai denti. Debbono recuperare le spoglie martoriate del loro coraggioso e sfortunato compagno, ma soprattutto la stima di se stessi. In questa tacita intesa c’è un ultimo sussulto di dignità, da tempo represso, che prelude al loro riscatto definitivo: andranno incontro alla morte perché una volta tanto anche i banditi hanno un anima e cercano la giustizia dove è più difficile trovarla. Sullo sfondo di in un Messico sbrindellato dalla rivoluzione, dove la gente povera, vive umiliata, vilipesa e affamata dai soprusi di biechi individui, il regista Sam Peckinpah illustra le vicende di Pike Bishop e della sua banda di manigoldi nel magnifico e crepuscolare western ”Il mucchio selvaggio” del 1969. Nei panni del protagonista, assieme agli ottimi Ernest Borgnine, Warren Oates e Ben Johnson, William Holden impersona la controversa figura d’un avventuriero disposto a tutto pur d’arricchirsi, perché questa è l’unica lezione di vita che ha imparato a condividere con i suoi pard: armi in pugno sempre pronti a sparare per rapinare sempre, comunque e dovunque con implicito il rischio di lasciarci la pelle in ogni dove.

Molta vita sotto forma di rughe era già passata sul volto dello stagionato attore che grazie a questa notevole impennata, imbocca con grande classe la sua parabola discendente: lui di certe atmosfere se ne intende parecchio, avendo conquistato nel 1950 le luci della ribalta con il personaggio di Joe Gillis nell’indimenticabile capolavoro di Billy Wilder ”Viale del tramonto”. E per l’appunto il ruolo dello scrittore in bolletta che diventa l’amante gigolò d’una riccastra ex attrice tardona,  figlia di un mondo ormai in decomposizione, gli  si disegna addosso con la naturalezza di un’abito confezionato apposta per la sua atletica figura.

E’ un bello che si trascina appresso la fama certo meritata di irresistibile conquistatore, però  ogni tanto si diverte a sfatare quello stereotipo  poiché oltremodo convinto della sua notevole  bravura artistica.

In virtù di questa prestanza, si fa notare sin dal suo primo apparire nel 1939, nerboruto ragazzo dal sorriso simpatico e dal fisico prestante, debutta con Barbara Stanwyck e Adolphe Menjou in “Passione, il ragazzo d’oro”.

Dopo l’intervallo della seconda guerra mondiale che lo vede arruolarsi volontario paracadutista, Il baldo giovanotto proveniente da O’Fallon, nell’Illinois dove era nato nel 1918, lancia in resta  si butta a capofitto   nella mischia a caccia del successo che giunge imprevisto per quel film accanto a Gloria Swanson.

Da quel momento in poi , si ripropone nell’ambiente con maggiore convinzione alternando vari personaggi spesso in contrapposizione tra loro e nei ruoli più leggeri diviene l’attore ideale da affiancare alle belle dive del momento.

Ancora con Wilder vince il premio Oscar nel 1953 per l’intensa interpretazione di  Sefton il prigioniero di guerra in “Stalag 17”; completa il trittico con quel grande regista impersonando in “Sabrina” l’apparentemente vacuo e stranamente ossigenato David, che corteggia brillantemente  la deliziosa Audrey Hepburn prima di capire che è di suo fratello Linus(Humprhey Bogart)  che lei è inconsciamente innamorata;  si rispecchia senza sfigurare nelle splendide  fattezze di Grace Kelly  nei due film girati assieme:” La ragazza di campagna” e “I ponti di Toko-Ri”; e mollemente s’adagia nella disillusione di un misterioso vagabondo flirtando con l’abbagliante Kim Novak in “Picnic”del 1955.  In quello stesso anno nella parte di un vissuto giornalista affianca la romantica Jenifer Jones nel suo film più conosciuto“L’amore è una cosa meravigliosa” dove risuona un’indimenticabile colonna sonora.

Giusto una pausa di un biennio, dopo cinque anni tirati tutti d’un fiato per ritornare sul set puntiglioso più che mai nel kolossal” Il ponte sul fiume Kwai” dove esprime la temerarietà e il coraggio d’un prigioniero americano e poi si concede un opportuna scavallata per assecondare il rude John Wayne di “Soldati a cavallo”.

Ritorna alle origini nel romantico  ruolo di un giornalista innamorato dell’esotica Nancy Kwan ne “Il mondo di Suzie Wong”, s’intrufola nel mondo delle spie al fianco dell’attraente Lilli Palmer ne”Il falso traditore” e si ritrova ancora a recitare in“Insieme a Parigi”con Audrey Hepburn la donna che non volle condividere la sua vita con lui.  A cinquantatre anni, vittima della depressione e bevitore accanito, William Franklin Beedle Junior, il suo vero nome, si lascia scivolare la vita dietro e alla gemma lucente del succitato Mucchio selvaggio aggiungerà solamente solo qualche altro prezioso: la parte del disincantato giornalista de “Quinto potere” e la toccante interpretazione dell’anziano scout in ”Il bambino e il cacciatore”. In mezzo qualche paccottiglia: doveva pur sopravvivere per potersi ogni tanto aprire uno dei più bei sorrisi di Hollywood che in seguito a una banale caduta avvenuta nella sua dimora si spense nel 1981, rimanendo però indimenticabile per via di quella svettante figura sempre pronta a disegnare arabescati profili di uomini nel magico mondo dell’illusione chiamato cinema.

Vincenzo Filippo Bumbica