“Vale la Pena”: a tutta birra verso il reinserimento sociale

Nel cuore della capitale c’è un luogo in cui l’arte di fare la birra diventa un percorso di crescita, educazione e rieducazione. Si tratta del birrificio artigianale Vale la Pena creato e gestito dalla ONLUS Semi di LibertàOspitato all’interno dello stabile dell’Istituto Tecnico Agrario Emilio Sereni, si propone come un modello innovativo di artigianato che unisce la produzione artigianale di birra di elevata qualità con il concetto ancora poca conosciuto di “reinserimento sociale” per i detenuti dell’Istuto Penitenziario di Rebibbia.
Attraverso il lavoro, quindi, la pena non ha più una sterile valenza coercitiva, bensì diventa percorso di comprensione, crescita e cambiamento volto alla piena riabilitazione del detenuto ed al suo reinserimento nella società con un nuovo bagaglio di conoscenze che gli consentano di avere una nuova vita.
Paolo Strano, Presidente e cofondatore di Semi di Libertà, ci racconta il progetto, la sua nascita e il modo in cui, coinvolgendo alcuni dei più grandi Mastri Birrai italiani, la cultura della legalità e del recupero acquista un valore nuovo anche in Italia.

“Semi di Libertà”: un nome che invita alla speranza. Come nasce la ONLUS e cosa rappresenta per voi?

La Onlus nasce da una esperienza professionale mia e degli altri soci fondatori nel carcere romano di Regina Coeli. Oltre a condizioni di vita davvero difficili, sicuramente oltre il comune pensare, abbiamo constatato questo problema delle recidive in cui ricascano il 70% dei detenuti che non godono di misure alternative, numeri e costi sociali impressionanti. Approfondendo abbiamo visto che queste scendono addirittura al 2% tra coloro che vengono inseriti in un circuito produttivo, decidere di darsi da fare in quella direzione è stato un tutt’uno.

Nel 2014 approdate ad un nuovo progetto: realizzare un birrificio artigianale. Un’idea certamente originale che punta all’eccellenza. Quanto è stato difficile cominciare?

La scelta del Birrificio è stata giusta, ma certo non semplice perché dettata più da valutazioni di opportunità, che da uno specifico know how, il settore poi ha una regolamentazione davvero complessa, ed avere i tempi in parte dettati dalla pubblica amministrazione ha reso certo le cose non facili gestire, ma l’entusiasmo e la convinzione che avessimo imboccato la strada giusta ci ha fatti andare avanti ed eccoci qui, produciamo 14 tipi diversi di birra a 13 mesi dall’inaugurazione del Birrificio, tutte di alto livello. Certo il merito di ciò è soprattutto dei tanti grandi birrai che hanno sostenuto il progetto ed hanno fatto birra con noi, davvero i migliori in Italia, noi siamo solo stati bravi e fortunati a coinvolgerli. Ora abbiamo il nostro Birraio, Dani Tafta, che ha avuto il privilegio di apprendere da ognuno di loro, ed ora porta avanti egregiamente la produzione in autonomia.


Affiancare studenti e detenuti in un percorso di formazione comune è un’idea ambiziosa. Come è stata accolta dal personale e dagli studenti dell’ITA Sereni di Roma?

Magnificamente. All’inizio, ovviamente, ci sono stati segnali di pregiudizio e momenti da gestire, in particolare l’esuberanza degli studenti, davvero incuriositi dalla presenza dei detenuti. Ma poi tutto è andato al meglio, e si è rivelato davvero un valore aggiunto per il nostro progetto. Il lavoro principale che abbiamo fatto è stato smontargli la visione tendenzialmente “romantica” del crimine e del carcere che hanno, molto lontana dal mondo di sofferenza che è in realtà, percezione probabilmente condizionata anche da alcune serie televisive, ed un percorso sul senso del rispetto delle regole coordinato dal nostro psicologo dott. Monacelli, durante laboratori integrati, davvero una bella esperienza, per non parlare di quella di realizzare dei team tra i detenuti ed i ragazzi disabili integrati nella scuola, entrambi esclusi ma antitetici, eppure complementari, fantastico.

Birre prodotte a rotazione, ognuna con una sua storia. Cosa può dirci sulle creazioni del birrificio da voi fondato, il “Vale la Pena”?

Le ricette base come detto le hanno ideate alcuni dei più grandi birrai italiani, da Leonardo di Vincenzo a Luigi “Schigi” D’Amelio, ed ora naturalmente cerchiamo di migliorarle! Tendiamo a fare birre poco usuali, con una grafica esplicita così come i nomi delle birre, spesso scelti con dei contest sui social, er Fine Pena, ‘a Gatta Buia, Fa er Bravo. Tutto è funzionale a far parlare di ciò che facciamo per aiutarci a diffondere una cultura dell’inclusione, altro nostro obiettivo primario. Abbiamo da poco fatto una harvest Ipa con luppolo Cascade appena raccolto, ma forse la birra che più ci caratterizza è la Sèntite Libbero, una Saison invernale scura con cicorie spontanee amaricanti raccolte per noi dalla Condotta Slow Food “Raffaele Marchetti”, un modo antico e contadino di fare birra, e la ricetta non poteva che essere messa a punto da Valter Loverier.

Quanto l’Italia riconosce la funzione rieducativa della pena? Possiamo definire “Semi di Libertà” un progetto pionieristico nel campo?

Pochissimo, l’articolo 27 della nostra Costituzione, il senso rieducativo della pena, purtroppo è sistematicamente mortificato, le percentuali che ho descritto prima ne sono la conferma, la  pena che scontano è nella maggior parte dei casi solo afflittiva, le eccezioni sono dettate essenzialmente da direzioni di istituti particolarmente illuminate, ma comunque alle prese con carenze croniche di personale e mezzi, e sopratutto dalle imprese sociali che entrano in carcere, quasi sempre realtà belle e motivate, ma non certo numerose. Non siamo dei pionieri, ma certamente andiamo controcorrente, infatti stiamo cercando di metterci in rete con le altre realtà virtuose dell’economia carceraria creando una piattaforma comune, Freedhome, per rafforzarci. Rispetto alla maggior parte degli altri lavoriamo fuori, i detenuti vengono in art. 21, ammessi al lavoro esterno, e la sera tornano in carcere.

Ogni semina è l’inizio di un lungo percorso. Quali frutti del vostro lavoro avete già raccolto?

Molti, e ci hanno messo ancora più appetito. Il segno lasciato negli studenti della scuola è tangibile e trasmetterà anche in futuro valori e risultati concreti, uno dei detenuti è diventato il nostro commerciale, un altro è stato assunto in un birrificio, altre due in altre occupazioni, ci rammarichiamo solo che avendo una produzione minuscola, possiamo produrre numeri piccoli, infatti, siamo già al lavoro per espanderci.

Cosa vi aspettate dal futuro? Ci sono già nuovi progetti in cantiere?

Il follow up che stiamo cercando di costruire è una filiera, della birra e della legalità, in grado di generare quei numeri a cui mi riferivo. Dalla semina delle materie prime al boccale. Questa idea è stata considerata dal Politecnico di Milano tra i progetti a maggior impatto ed innovazione sociale in Italia nell’ambito di Transition, un contest transnazionale, ed attualmente è finalista nazionale in due contest analoghi, Sodalitas Innovation e Coltiva l’idea Giusta, il risultato è a fine novembre per entrambi. Insomma abbiamo sempre qualcosa nel fermentatore!

Non resta che sedersi e stappare una delle meravigliose creazioni del “Vale la Pena” ed assaporare l’impegno e la voglia di riscatto che fermentano nella bottiglia!
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Silvia D'Amico