The Revenant: nella terra dei Redivivi [#aspettandoglioscar]

Dopo essersi aggiudicato gli oscar più ambiti agli accademy del 2015 con il suo “Birdman”, il regista messicano Alejandro Gonzales Inàrritu sfida se stesso presentando in concorso “The Revenant”, candidato a 12 statuette per gli oscar 2016.

Grandi le attese del pubblico che non ha esitato ad affollare le sale, per nulla scoraggiato dalla durata della pellicola (il film è attualmente primo nel box office, secondo solo al il risveglio della Forza).  Anche se, probabilmente chi freme di più è Leonardo Di Caprio, per un agognato oscar, che secondo molti potrebbe essere più che mai vicino.E’ con questa pellicola che inauguriamo la rubrica [#aspettandoglioscar], una serie di appuntamenti dedicati ai film in concorso nella premiere.

La trama. Hugh Glass (Di Caprio), un’esperta guida del North Dakota viene assoldato, insieme al figlio, da alcuni cacciatori di pelli, per scortarli nella loro spedizione. Il feroce e improvviso attacco di una tribù di indiani costringe i sopravvissuti a cercare vie alternative per il ritorno, affidandosi alle conoscenze di Glass.Durante una missione solitaria di ricognizione, però, l’uomo si imbatte in un orso e ingaggia con lui un terribile scontro nel quale viene ferito gravemente, riuscendo comunque ad uccidere la creatura.

Il comandante della spedizione (Domhnall Gleeson) dopo aver cercato, invano, di trasportare il ferito attraverso gli aspri valichi delle montagne, decide di lasciarlo indietro, affidandolo a due dei suoi uomini, Bridger e Fitzgerald (Tom Hardy) cui offre una ricompensa perché assistano il moribondo fino alla fine, assicurandosi di dargli una degna sepoltura. Vegliato dal figlio, che ha perso la madre indiana a causa di un incendio, Glass non sembra rassegnarsi a morire, nonostante il suo corpo sia in pessime condizioni.

Non è che l’inizio della sua “tribolazione” fisica e psicologica, destinata a superare i limiti della sopravvivenza e della tollerabilità umana nel momento in cui l’avido e “psicopatico” Fitzgerald strapperà a Glass l’unica cosa in grado di dare un senso alla sua vita: il suo ragazzo, davanti ai suoi stessi occhi.

Non etichettabile come un semplice racconto di vendetta, “The Revenant” è un film che non pone l’accento sull’originalità della trama, quanto sul modo in cui la vicenda viene rappresentata sullo schermo.  La regia di Inarritu è avvolgente e irrefrenabile, come le forze della natura che intende rappresentare. Non conosce ostacoli e “accerchia” i personaggi da ogni lato: dal suolo, come se la terra stessa volesse “inghiottirli”, dall’alto, come se il cielo li dominasse, fino a girare intorno a loro, quasi per ribadire come essi non abbiano alcuna via di scampo.

Con un gioco dinamico di piani sequenza la cinepresa si avvicina e si allontana dallo spettatore, per fermarsi soltanto al fine di immortalare immagini estetiche di fredda e suggestiva bellezza, accompagnate da un efficace colonna sonora.

Sono questo scenario e la straordinaria tecnica di Inarritu a lasciare il segno su chi guarda. Uno stile  “a scorrimento”,che non è sgradevole, perché agile e armonico, nonostante renda la presenza della telecamera percepibile all’occhio. Forse, la durata del film poteva essere ridotta, eliminando alcune scene, che non ne avrebbero affatto compromesso la visione, in quanto superflue rispetto alla storia.

Da quanto detto si evince che la forza della pellicola risiede appunto nella regia. Il cineasta messicano si spinge al “suo massimo”: le riprese per molti aspetti sono state proibitive per i luoghi remoti in cui sono state girate (solo con luce naturale) e per le condizioni climatiche ostili, seguendo l’esempio di altri registi (come Herzog e l’ardua produzione di “Fitzcarraldo”, girato nelle foreste equatoriali).

Ma il “virtuosismo” registico, ben amalgamato con la narrazione, non è comunque fine a se stesso, ma volto a trasmettere un diffuso senso di impotenza e soprattutto rappresentare un’ umanità “rediviva”, scampata alla morte,  perennemente in cerca di uno scopo, che sembra non esistere. Tutti i personaggi del film, infatti, sono dei “redivivi”: lo è il figlio di Glass, sopravvissuto alla morte e ustionato dal fuoco; lo è Fitzgerald, rimasto in vita nonostante gli indiani avessero cercato di fargli lo scalpo; lo è l’indiano che aiuta Glass a sopravvivere, lo sono gli uomini della spedizione, scampati ad un terribile massacro (la cruenta battaglia che apre il film). Personaggi che vagano in una terra gelida e avversa, che sembra ospitare soltanto “fantasmi” , ciecamente disposti a tutto pur di sopravvivere.

Al dualismo uomo-natura si aggiunge il confronto-scontro tra due uomini: Glass e Fitzgerald. La figura del secondo è importante quanto quella del primo. E’ lui infatti il motore della storia e l’obiettivo che Glass intende raggiungere.I due sono diversi in molti aspetti: il primo, taciturno, fa della sua esperienza e del suo affetto per il figlio la sua forza, il secondo, manipolatore, è assolutamente incurante della vita umana e sfrutta spesso l’inganno per arrivare ai propri scopi.

Si rivelano infine “simili”, perché entrambi “privi di vita”, nonostante siano vivi nel corpo. Il loro scontro finale, disperato, truce, “impacciato” e sanguinoso, rappresenta il culmine della brutalità di entrambi. La vendetta di Glass non ha nulla di eroico né  puo’ essere definita catartica. Provoca solo uno squarcio più grande che permette di contemplare gli effetti indelebili della privazione subita, nell’ ”agonizzante” dramma di essere, nonostante tutto, ancora in questo mondo

Per quanto riguarda le candidature oscar, certamente meritata la categoria miglior regia, così come quella relativa alla fotografia (di Luzbeki, che già la vinse per Birdman). Nel complesso anche quella di miglior film.

Per le candidature relative agli attori: la recitazione di Di Caprio è credibile ed in linea con la parte da lui interpretata. L’attore ha il merito di essersi calato in un ruolo inusuale per lui. Molto abile nel rendere sulla scena personaggi carismatici e avvezzi al dialogo, qui, invece, è stato costretto ad una regressione espressiva: recitando per lo più attraverso il corpo e la mimica facciale. Nonostante la sfida “lanciatagli” da Inàrritu , è riuscito nell’impresa, per cui l’oscar risulta meritato proprio per averlo portato all’”estremo” delle sue capacità recitative.

Detto questo, senza nulla togliere al riconoscimento che potrebbe essergli dato per questa pellicola, al computo dei ruoli impersonati nella sua brillante carriera, questa di Revenant non rappresenta la sua migliore interpretazione, perché non permette all’attore di mostrare la personalità che possiede (pensiamo a film come “The Aviator”, “Shutter Island”, “Inception”, e “Revolutionary Road” in cui incarna con grande naturalezza la psicologia tormentata dei protagonisti).

Per quanto riguarda Tom Hardy (candidato a miglior attore non-protagonista), il talento dell’attore inglese è indiscusso. Il “Bane” del “Ritorno del Cavaliere oscuro”, infatti, è in grado di adattarsi in modo “camaleontico” ai ruoli assegnatigli, al punto da sembrare irriconoscibile, mantenendo allo stesso tempo grande intensità recitativa. “The revenant” non è che un’ulteriore prova della sua bravura, evidenziata anche in altri film come “Warrior” e in “Locke”, in cui addirittura è l’unico personaggio sulla scena.

 

Francesco Bellia