The Lobster – E se chi rimane single venisse trasformato in animale?

Questa l’idea chiave di “The Lobster”, film del regista greco Yorgos Lanthimos, uscito da poco nelle nostre sale (Premio della giuria a Cannes, candidato agli European Film Awards 2015 con cinque nomination).

Avvertenze prima della visione: nonostante lo “strano” umorismo che lo pervade, non si tratta di una commedia, né di una pellicola rassicurante. Siamo piuttosto dinnanzi ad un film di fantascienza distopica.

Nel mondo immaginato dal regista gli uomini e le donne sprovvisti di partner non sono tollerati dalla società.  Non appena sono individuati dalla polizia, infatti, vengono prelevati e condotti in un “albergo” in cui dovranno trovare un nuovo compagno entro 45 giorni, trascorsi i quali saranno trasformati in animali.

Il protagonista del film (un ingrassato Colin Farrell) si trova suo malgrado a dover affrontare questa difficile situazione, dopo essere stato lasciato dalla moglie. Accompagnato dal fratello-cane (già vittima della terribile punizione-trasformazione) è costretto a seguire le attività “ricreative” dell’albergo, necessarie per  riconquistare la libertà e la dignità perduta (ad esempio partecipare a “patetici”  convegni che dovrebbero spingere gli ospiti a disprezzare la propria condizione di solitudine e adoperarsi per essere reinseriti in società); ma il programma di riabilitazione prevede anche altro: per rendersi utili, infatti, i single “penitenti” sono costretti ad andare a caccia: una “caccia umana“. Ogni giorno devono entrare nella foresta con dei fucili narcotizzanti per abbattere i “Solitari” che lì si sono rifugiati, uomini e donne ribelli che sono scappati dall’albergo,  perché rifiutano categoricamente la vita di coppia. Maggiore è il numero di Solitari colpiti, maggiori saranno i giorni extra guadagnati dagli ospiti del ricovero.

Il protagonista dimostra di essere abbastanza maldestro, sia nel “corteggiamento” che nella caccia e a nulla servono le sue illusioni rispetto alla longevità dell’animale da lui scelto in caso di trasformazione (l’aragosta del titolo), perché, come gli farà capire un altro ospite della struttura, le aragoste sono un piatto prelibato, e la sua speranza di sopravvivere sarebbe quasi inesistente. Un “quadro” desolante che fa del protagonista un inetto e un fallito (perfettamente incarnato da uno sciatto e “meschino” Colin Farrell).

Egli, però, non è il solo a versare in questa condizione. L’intera umanità descritta da Lanthimos è incapace di relazionarsi con gli altri. Gli esseri umani sono tante “macchiette” comiche e impacciate, che cercano a tentoni di sopravvivere e di “tollerarsi” a vicenda. Non esistono legami degni di questo nome e le stesse coppie che si definiscono stabili, non sono unite che da somiglianze “marginali”, a volte anche simulate pur di evitare la solitudine (il naso che sanguina, la gamba zoppicante, la passione per gli stessi biscotti ecc.)

Anche quando il protagonista giunge tra i Solitari (dopo una violenta fuga), comprende ben presto di non essere comunque al sicuro, poiché questi ultimi, veri e propri“estremisti” dell’isolamento, sono anche più violenti dei gestori dell’albergo e puniscono severamente chi tra loro viene sorpreso in atti amorosi. Ovviamente il protagonista incorre in questa difficile “impasse” e si invaghisce di una donna Solitaria (Rachel Weisz), dopo aver scoperto che anche lei come lui è miope. I due cercano di nascondere la loro relazione proibita, ma non sfuggono allo sguardo freddo e insensibile del perfido capo dell’organizzazione(una gelida Lea Seydoux), che escogita una terribile vendetta per punirli.

Attraverso una sceneggiatura e un intreccio degni di un affascinante racconto di fantascienza, Lanthimos descrive con ironia, crudeltà e acutezza un’umanità autistica e violenta, incapace di provare reali sentimenti. Sola, perché vuota. 

Lo fa con uno stile unico: un umorismo provocatorio, feroce e disilluso che non rinuncia però ad un grande equilibrio scenico, con una fotografia  fredda e cupa, che mantiene alta la tensione, soprattutto nelle scene più truci (che comunque non vengono mostrate del tutto, ma lasciate intuire). La musica ripetitiva e conturbante scandisce il susseguirsi di queste scene, assieme ad una voce narrante fuori campo, che ribadisce ancora di più l’alienazione dei personaggi. La complessità del film è notevole e stupisce che il regista sia riuscito ad inserire tante idee ingegnose dentro una sola pellicola, senza che questa ne risultasse viziata.

Tutti questi elementi fanno di The Lobster un ottimo film di fantascienza, che, anche in assenza di grandi effetti speciali, lascia il segno per la profondità delle sue riflessioni, dimostrando come la spettacolarità non incida sempre sulla qualità di un’opera.

In tal senso rievoca un altro film recente, “Her” di Spike Jonze(Oscar: migliore sceneggiatura 2013). La pellicola narra la storia di un uomo (l’ottimo Joaquin Phoenix) reduce da un divorzio, che si innamora perdutamente di un’intelligenza artificiale di ultima generazione, talmente sofisticata da sembrare umana.

Le due pellicole sono molto diverse tra loro. Her è un film di dialoghi, dal ritmo più lento e dalla fotografia colorata, in cui non si respirano affatto il grigiore e la violenza dell’opera di Lanthimos.

Nonostante questi elementi di distinzione, però, entrambi hanno in comune gli stessi temi. La solitudine e l’alienazione. Anche nel film di Jonze,infatti, le persone non sono in grado di relazionarsi le une con le altre, tanto da preferire un computer, ad un essere umano reale. L’avanzamento tecnologico sopperisce al loro vuoto esistenziale, in un futuro in cui, anche per scrivere una lettera ad una persona cara, molti preferiscono farsi assistere da un tecnico (il mestiere del protagonista), proprio per l’incapacità di esprimere i propri sentimenti. Il dramma interiore è costruito lentamente, attraverso le conversazioni tra un uomo ed una donna “meccanica” (doppiata da Scarlett Johansson nell’originale) e porta con se l’annientamento totale di un’apparente felicità raggiunta, in un finale drammatico e spiazzante.

Il fatto che entrambi i film si interroghino sulle difficoltà relazionali suggerisce come tali problematiche siano più che mai attuali, tanto da essere recepite dalla fantascienza odierna, che avverte l’esigenza di affrontarle e rappresentarle, mediante la potenza espressiva del cinema.

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Francesco Bellia