Sindrome da affaticamento cronico: il disturbo misterioso ignorato dalla comunità scientifica

Mi sentivo benissimo, un giorno mi è venuta la febbre e da allora non sono più stato come prima“, è la frase tipica di un soggetto affetto da una strana patologia; sempre più uomini e donne si ritrovano a dover gestire nella vita quotidiana un senso di stanchezza e di debilitazione che rende difficile muoversi, concentrarsi e lavorare. Di solito vengono etichettati come “malati immaginari”, dopo una serie di accertamenti che escludono una dopo l’altra patologie più o meno gravi.

Queste persone sono affette dalla cosiddetta Sindrome da affaticamento cronico (CFS), un disturbo misterioso che finora non è stato preso in grande considerazione dalla comunità scientifica, sia perché è difficile identificarne la causa precisa dei sintomi, sia per l’eterogeneità delle manifestazioni.

La sensazione è quella di svegliarsi un giorno con un’influenza e di non riuscire più a guarire. I pazienti tipici sono persone tra i 20 e i 40-50 anni, in prevalenza donne, con un tratto comune: si sono trovati in questa situazione dopo un’infezione virale. I sintomi riportati sono vari: spossatezza fisica che si esaspera dopo qualunque sforzo fisico o mentale, anche di piccola entità; dolori muscolari e articolari, mal di testa, problemi di concentrazione e di memoria.

Per molto tempo i medici hanno considerato questa sindrome un insieme di sintomi psicosomatici senza una precisa causa biologica; in origine, l’insieme di questi sintomi era stata battezzata Sindrome cronica da virus di Epstein-Barr, in quanto si sospettava che la responsabilità derivasse da un’infezione di questo virus. Studi successivi hanno però smentito che questo collegamento sia l’unico e nel 1988 alla malattia è stato dato il nome attuale ” Sindrome da stanchezza cronica“.

Sulle cause, però, i ricercatori brancolano nel buio. Alcune ricerche scientifiche suggeriscono che potrebbe trattarsi di una malattia autoimmune, forse innescata da un’infezione; altre la riconducono a un’infiammazione del sistema nervoso, altre ancora fanno riferimento all’infiltrazione di proteine e residui di batteri attraverso le pareti intestinali. Finora però non c’è alcuna certezza.
Diagnosticare questa malattia è difficile, in quanto non esistono test scientifici; tuttavia sembra che qualcosa stia cambiando: negli Stati Uniti, in seguito alle pressioni di gruppi di attivisti e malati, la sindrome da stanchezza cronica si sta guadagnando l’attenzione del mondo della ricerca.

Il National Institute of Health (NIH, agenzia del Dipartimento della salute degli Stai Uniti) ha annunciato che “aumenteranno gli sforzi per far avanzare la ricerca” su questa misteriosa malattia. E gruppi di ricercatori di vari dipartimenti dei NIH stanno organizzando uno studio clinico sui pazienti per cercare di individuare il tipo di risposta immunitaria anomala che si pensa possa essere alla base della patologia. Non si sa ancora quale sarà l’entità dei finanziamenti dedicati, ma secondo il direttore, Francis Collins, si tratterà di un aumento considerevole rispetto allo stato attuale.

Probabilmente, a richiamare l’attenzione sulla sindrome ha contribuito Brian Vastag, quarantatreenne giornalista scientifico del Washington Post che tre anni fa, dopo un’influenza apparentemente banale, ha sofferto di fatica cronica. Sano, sportivo, abituato a viaggiare per il mondo, si è ritrovato da un giorno all’altro a faticare per condurre una vita normale. L’estate scorsa aveva indirizzato una lettera proprio al direttore del NIH, per sollecitare l’istituto ad una maggiore considerazione di questa patologia.


Ma nella comunità scientifica sull’affaticamento cronico non tutti la pensano allo stesso modo. In Gran Bretagna sono usciti alcuni studi secondo cui i pazienti afflitti dalla sindrome sono migliorati grazie a programmi di graduale ripresa dell’attività fisica e forme specializzate di psicoterapia: come a dire che all’origine della malattia esiste un problema psicologico e non biologico.

Tuttavia, il dibattito è ancora aperto, bisognerà aspettare maggiori studi e ricerche per capire di cosa realmente stiamo parlando e formulare una diagnosi chiara ed efficace per combattere questa malattia.

Claudia Ruiz