L’eredità di Umberto Veronesi

La battaglia contro il cancro ha perso uno dei suoi migliori Colonnelli: si è spento l’8 novembre Umberto Veronesi, il chirurgo milanese che, a partire dagli anni ’60, si è distinto nel campo dell’oncologia per il suo spirito di innovazione e la straordinaria competenza. La medicina, e più in generale la scienza, dovranno fare i conti con la scomparsa dell’uomo che ha ispirato, in Italia e non solo, centinaia di studiosi ed offerto speranza ad altrettanti pazienti. Social Up vuole ripercorrere insieme a voi le sue straordinarie gesta scientifiche, perché non vengano dimenticate ed anzi diventino la sua eredità.

Veronesi è un uomo che “si è fatto da solo”, uno dei figli di una famiglia contadina della Pianura Padana. Ai tempi della sua infanzia, negli anni ’30, Milano era un miraggio per famiglie mai troppo ricche e sempre troppo numerose. Per lui, lo studio ha rappresentato la Chiave di Volta, la strada maestra per diventare un cittadino ed un grande scienziato. Chissà se quella laurea in Medicina, nel lontano 1952, è mai stata per lui presagio di quanto avrebbe costruito dopo.

Più di molti altri, ha proprio fatto del costruire il filo conduttore di un’intera, brillante carriera. Non è esagerato dire che il suo contributo  in ambito oncologico è stato primario. Quando nel 1965 l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) vide la luce, Veronesi era lì, accanto a Giuseppe dalla Porta ed ai ricercatori dell’Istituto dei Tumori di Milano, nel 1970 fonda il Gruppo Internazionale sul Melanoma, nel 1982 la Scuola Europea di Oncologia (1982) e nel 1991 ha dato vita al suo progetto più ambizioso: l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO).

Veronesi ha dedicato l’intera carriera alla lotta contro il male del secolo, il cancro, con un’attenzione particolare al tumore alla mammella, prima causa di morte per tumore nella donna. Si deve a lui, infatti, l’introduzione di una pratica chirurgica che ne ha rivoluzionato la terapia: la quadrantectomia o asportazione di un quadrante della mammella. Inizialmente, il trattamento chirurgico del tumore al seno prevedeva l’asportazione completa della ghiandola mammaria o mastectomia, una procedura invasiva tanto dal punto di vista medico, quanto dal punto di vista psicologico. Non è spesso facile, infatti, per una donna, accettare il suo nuovo aspetto in seguito all’intervento. Il lavoro di Veronesi ha dimostrato che, in tumori allo stadio iniziale, l’asportazione di una porzione di ghiandola mammaria, corrispondente ad uno dei quattro quadranti in cui può essere idealmente divisa la mammella, quando abbinata alla radioterapia, garantisce le stesse possibilità di sopravvivenza della rimozione completa, ma con un vantaggio: un migliore impatto estetico e sulla sfera psicosessuale. La ridotta invasività della quadrantectomia, infatti, fa si che l’intervento sia esteticamente assimilabile ad una mastoplastica riduttiva, ragion per cui le pazienti tendono a richiedere un intervento al seno contro-laterale per recuperare la simmetria del corpo.

Nonostante abbia lavorato e promosso l’impiego di molte altre tecniche chirurgiche innovative, più in là divenute di largo impiego, si è dimostrato perfettamente cosciente di quanto la prevenzione  e l’alimentazione abbiano un ruolo fondamentale nella riduzione del rischio dell’insorgenza di tumore. Le sue battaglie si sono estese, quindi, fino alla tutela dei diritti dei non fumatori, ma anche a temi prevalentemente etici, come la riduzione della spesa militare ed il disarmo, l’eutanasia, l’unione tra coppie dello stesso sesso e la tutela dei diritti degli animali. Dal 2003 la Fondazione Veronesi promuove la ricerca scientifica e comunica i suoi progressi alla gente comune, agevolando la formazione ed il lavoro di molti giovani ricercatori con finanziamenti e borse di studio.

Costruire vuol dire dar vita a qualcosa di duraturo, Umberto Veronesi ha contribuito alla nascita dell’eccellenza dell’Oncologia nel nostro Paese e, prima ancora, si è battuto per la diffusione del pensiero scientifico e razionale, senza mai perdere di vista il paziente. Ci ha sicuramente lasciato molto e anche le generazioni future guarderanno per molto tempo a lui come un modello. Il modo migliore per ricordarlo è non lasciar cadere il suo operato nel vuoto e salutarlo con un grazie silenzioso ed un sorriso, lo stesso che lo ha sempre accompagnato.

Silvia D'Amico