Rapporto insegnante-alunno, oltre i libri c’è di più

Il sistema scolastico italiano ha subito numerose modifiche nel tempo non soltanto per ciò che riguarda la sua struttura esterna( si pensi che negli anni ’50 in alcune scuole dei quartieri interni della Sicilia vi erano finestre che impedivano al bambino di guardare al di fuori dell’aula), ma anche l’organizzazione interna.

Tra le principali riforme che hanno contribuito al miglioramento della scuola della nostra nazione sono degne d’esser citate la legge Coppino del 1877, che ha esteso l’obbligo della frequenza fino ai primi tre anni della scuola elementare, la riforma Gentile del 1923 che ha ulteriormente prolungato la frequenza all’età di 14 anni ed ancora le legge 517/77 che ha permesso l’integrazione dei soggetti disabili all’interno delle classi. Gli alunni con particolari handicap infatti inizialmente venivano istruiti in aule a parte, nate grazie all’impegno di figure quali De Santis e Maria Montessori i cui sforzi hanno permesso ai discenti con menomazioni fisiche o mentali di aver diritto ad una degna istruzione durante un periodo storico in cui la scuola era un sogno lontano anche per i bambini sani. In realtà una vera riforma scolastica( che non avrebbe bisogno nè del consenso e dell’approvazione di grandi politici nè di essere trascritta nero su bianco in fondo alla lista di tutte le altre) potrebbe consistere in una maggiore riflessione, da parte dei docenti, riguardo i disagi e le problematiche dei loro alunni. Già durante gli anni della Ricostruzione, alcuni ragazzi della scuola di Barbiana( fondata da Don Milani in una Sicilia che a quel tempo era stata dimenticata dal mondo) avevano riportato gli ingiusti comportamenti di alcuni insegnanti nei confronti dei soggetti piu’ svantaggiati all’interno di uno scritto intitolato “Lettera ad una professoressa”; nella scuola odierna fortunatamente non si sente piu’ parlare di tali atteggiamenti da parte dei docenti, anche se purtroppo quest’ultimi continuano ad applicare delle etichette ai ragazzi collocandoli all’interno di varie categorie, da quella dei piu’ svogliati a quella delle eccellenze della classe. Capita infatti di sentire docenti lamentarsi per la presenza di ragazzi particolarmente aggressivi, ostili e irrequieti a cui vengono addossati solo  condotte comportamentali negative; tuttavia, considerando che ogni comportamento viene messo in atto in seguito ad un determinato stimolo interno o esterno, allora anche una condotta negativa da parte di uno studente potrebbe essere espressione di un disagio o di un sentimento. Nell’età evolutiva infatti i ragazzi con forti carenze affettive hanno piu’ probabilità di agire senza riflettere alle conseguenze delle proprie azioni o al possibile danno che si potrebbe provocare all’altro, se si pensa ai bambini aggressivi il cui comportamento antisociale potrebbe essere provocato dalla mancanza di una figura di riferimento che fornisca cura e sostegno. Non mancano poi i soggetti con disturbo da deficit d’attenzione e iperattività, o ancora gli studenti con disturbi dell’umore, di personalita’ o problematiche alimentari che spesso vengono esclusi dal gruppo classe anche a causa delle inadeguate  metodologie didattiche degli insegnanti che non riescono a rispondere ai loro “bisogni speciali”, ma focalizzano la loro attenzione esclusivamente sulle performance scolastiche degli allievi limitandosi a giudicarli con un semplice voto.

Se il termine insegnare significa realmente “segnare dentro”, i docenti dovrebbero  guardare gli studenti con occhi nuovi e sforzarsi a segnare realmente, nei loro animi, qualcosa di piu’ umano e non soltanto i contenuti delle semplici pagine di un libro.

redazione