Quando la guerra ti ruba l’infanzia

Stando ai recenti dati forniti dal Syrian Observatory For Human Rights, il laboratorio che si occupa di svolgere le ricerche sulle condizioni dell’attuale conflitto sociale in Siria, la guerra ha causato 76.000 vittime e tra questi ci sono quasi 4.000 bambini, innocenti vittime di un conflitto che non li appartiene. « Non sparare, mi arrendo!». Afferma la piccola Hudea, siriana di 4 anni, rifugiata in un campo profughi ad Atmen al confine dal confine turco. E’ triste, ma è andata così quando la bimba ha scambiato l’obiettivo di una macchina fotografica professionale per la canna di un fucile, e d ha alzato le mani in segno di resa, come le è stato insegnato e come ha sicuramente visto fare più e più volte. Da quando è iniziato il conflitto, le situazioni di molti abitanti sono precarie, condannati ad una vita di terrore, dove bombe e miliziani radono al suolo quella normalità e quei ricordi, che anche un bambino porta con sé. Non è facile dimenticare  lo sguardo innocente e disarmato di Hudea. Quel viso paffutello, quei capelli a  caschetto, quelle labbra chiuse, mute, ritratte dal fotografo Osman Sagirli nel campo profughi, sono entrate a far parte di noi E’ bastato un tweet della fotoreporter Nadia AbuSahan per renderla nostra. In pochi giorni quell’immagine, quegli occhi spaventati e quelle braccia alzate, ha fatto il giro del mondo: più di 11.000 retweet, oltre 5000 condivisioni su Reddit. Ora quella fotografia non appartiene più a una persona ma a tutti, rappresentando un messaggio in giro per il mondo, dove un bambino è stato costretto ad arrendersi. A seguito del retweet della fotoreporter, il web si è mobilitato per cercare di scoprire la verità su quella foto e così si è scoperto, che l’immagine è stata scattata da Osman Sagirli a dicembre 2014, ed è stata pubblicata dal quotidiano turco Türkiye nel gennaio 2015, dove Sagirli presta lavora da ormai 25 anni come fotografo. La BBC è riuscita a rintracciarlo, interessata dalla rilevanza mediatica assunta dalla storia, per sapere quanto ci fosse di vero rispetto ai tweet che si sono susseguiti sul socialnetwork. Con grande stupore, il fotografo ha confermato: “Quel giorno stavo utilizzando un teleobiettivo e la bimba ha pensato che fosse un’arma – racconta il fotografo – Ho capito subito che si era spaventata. Normalmente i bambini nascondono la loro faccia o sorridono quando vedono una fotocamera“.

Andrea Calabrò