Effetti collaterali dell’evoluzione: la monogamia

di Irene Del Lesto per Social Up!

Nel mondo animale rappresentiamo un’eccezione. Il genere Homo ha pian piano conquistato e sottoposto il mondo naturale dal quale, agli albori della sua comparsa, avvenuta circa 7 milioni di anni fa, era totalmente atterrito. Lungo questo arco di tempo, la monogamia ha giocato un ruolo cruciale per la nostra affermazione sul pianeta e la coppia ha formato la base di qualcosa di squisitamente umano: la fitta e densa rete sociale nella quale oggi viviamo e ci articoliamo.

Ai giorni nostri è normale, statisticamente parlando, cercare la platonica altra metà della mela per completarsi ed è alla base della maggior parte delle società impegnarsi in una relazione di coppia duratura e, soprattutto, sessualmente esclusiva, nonostante i tradimenti, i divorzi e la poligamia di alcune culture (fattore che, appunto, ci rende squisitamente umani). Ma se la biologia ha senso solo se vista nell’ottica dell’evoluzione, è lecito allora soffermarci a pensare che non sia sempre stato così, e la monogamia, ha un certo punto della nostra storia evolutiva, sia stata un fattore più vantaggioso rispetto alla poligamia, vantaggio che si è andato a consolidare nel tempo, che si è fissato nelle società preistoriche e che è arrivato fino ai giorni nostri. Ma in che modo la coppia offre vantaggi rispetto ad avere più partner? I mammiferi, ad esempio, non sono degli amanti della monogamia, che è infatti una pratica comune a meno del 10% delle specie. Tra queste, solo i primati sono leggermente più favorevoli all’accoppiamento esclusivo.

Secondo l’antropologo C. Owen Lovejoy, della Kent State University, la monogamia si sarebbe affermata 5 milioni di anni fa quando i nostri predecessori, gli ominini, adottarono strategie di vita che gli avrebbero permesso un salto evolutivo rispetto alle grandi scimmie: il trasporto del cibo con le mani grazie alla postura bipede, la formazione di legami di coppia e l’occultamento dell’ovulazione femminile (altro tema estremamente affascinante e ancora, squisitamente umano). Secondo questo schema, la monogamia ha rappresentato un vantaggio riproduttivo rispetto alla poligamia poiché ha spostato l’attenzione degli ominini di basso rango dal combattimento alla ricerca di cibo da offrire alle femmine. L’energia che un maschio doveva impegnare nella lotta con altri maschi per assicurarsi una compagna veniva invece investita nel procacciare cibo, portando così le femmine a preferire e scegliere i migliori procacciatori, e quindi maschi più affidabili, rispetto a quelli con un’indole combattiva. Questa, ovviamente, è solo una delle ipotesi e la scienza ci chiama sempre alla cautela. L’antropologo Chapais, ad esempio, sostiene che le caratteristiche della monogamia, dei legami familiari e della struttura sociale dell’essere umano siano emersi molto dopo gli ominini: essi erano inizialmente promiscui, in seguito passarono alla poligamia e solo in un secondo momento alla monogamia, perché mantenere tante femmine richiede uno sforzo energetico enorme rispetto al mantenerne solo una, e comunque non si avventura nel dirci quale specie abbia compiuto questo passaggio.

Se gli scienziati non concordano sul quando gli umani sono diventati monogami, è ancora più difficile stabilirne il perché. Siamo giunti, così, ad avere diverse ipotesi, tutte probabili.
La prima suggerisce che la monogamia si sia affermata quando le femmine hanno iniziato a stabilirsi in territori più ampi e distanti tra loro, per garantirsi un areale più vasto per procurarsi cibo, comportando una difficoltà intrinseca nel maschio a dover provvedere a più di una femmina per questioni spaziali. Inoltre studi statistici affermano che i monogami sono principalmente animali che hanno una dieta onnivora e ricca di proteine e questo comporta grandi spostamenti per garantirsi una dieta varia e ricca.

La seconda ipotesi, invece, sostiene che la monogamia abbia avuto origine per difendere la vita dei cuccioli dagli attacchi dei maschi, i quali sono costretti ad uccidere la progenie altrui per poter passare esclusivamente il proprio DNA (Darwin docet). La monogamia avrebbe ridotto questo istinto omicida nei maschi, poiché la formazione di una coppia stabile assicura un maggior successo nel crescere e svezzare la prole e soprattutto nel difenderla.

La terza e ultima ipotesi prende in considerazione, invece, l’introduzione delle cure parentali da parte del maschio, soprattutto quando un piccolo diventa troppo oneroso in termini di energia e calorie per la madre, assicurando così, anche in questo caso, un maggior successo di vita della progenie con la formazione di una coppia i cui componenti sono in grado di provvedere, entrambi, al figlio.

Non è un caso infatti, che sia per le grandi scimmie, sia per gli umani, la gestazione richieda una quantità di energie altissime, soprattutto per la madre. Non solo, i piccoli possono avere bisogno di cure parentali molto lunghe (se pensiamo ad un bambino, questo diverrà indipendente solo dopo un periodo lunghissimo che va oltre i 7 anni) e quindi gli sforzi per riuscire a tenerlo in vita e in buona salute sono altissimi. Non è solo la coppia a contribuire ad un maggiore successo riproduttivo, sono indispensabili anche le cure “allogenitoriali”, ovvero quelle che i parenti prossimi ai genitori o i membri del gruppo sociale riservano al bambino per crescerlo e alimentarlo. Come affermano diversi studiosi, i primi Homo erectus non avrebbero potuto superare la soglia della sostanza grigia che limita il cervello della scimmie a un volume massimo di 700 cm3 senza l’appoggio di un aiuto da parte del partner e dei parenti.

La monogamia scaturisce quindi dalla collaborazione, che ha portato, soprattutto da Homo erectus in poi, alla formazione di tribù, di villaggi e di nuclei familiari ed ha gettato le basi per la socialità. La più grande conquista che l’uomo ha guadagnato nell’evoluzione è proprio questa infatti: riuscire a cooperare e collaborare insieme per garantire, in primis, la diffusione e il proseguimento della specie. Questa è stata, probabilmente, la nostra migliore qualità, quella che ci ha fatto sopravvivere ed avere successo, laddove invece i nostri cugini e antenati fossili hanno fallito, quella che ci ha facilitato la vita di fronte a cambiamenti climatici e stress ambientali e quella che, chissà, forse, potrebbe garantirci un futuro, soprattutto nel periodo attuale che stiamo vivendo dove ormai sono tornati in auge gruppi xenofobi, dove l’Europa sembra solo un continente smembrato e privato della sua forza, dove preferiamo innalzare muri al posto di provare ad abbatterli. Siamo una specie geologicamente giovane, ci siamo guadagnati un’epoca geologica tutta nostra, l’Antropocene, per i cambiamenti che abbiamo apportato in tempi brevissimi alla Terra, e ci scordiamo, o forse nemmeno sappiamo, che la nostra specie si è affermata e si è evoluta grazie all’aiuto e allo scambio reciproco.