Director Spike Lee poses during a portrait session for Jaeger-LeCoultre during the 69th Venice Film Festival on August 31, 2012 in Venice, Italy.

#Oscarsowhite e perdersi in un bicchiere d’acqua

Di Luca Tognocchi per Social Up!

A volte ci si perde in un bicchiere d’acqua. È facile confondere il senso delle cose quando si ha a cuore un’ideale. È ciò che sta succedendo con la protesta rinominata #oscarsowhite, lanciata da Spike Lee.

Quest’anno, come l’anno scorso, mancano attori di colore candidati agli Oscar ed in generale, le candidature afro-americane sono pochissime. Secondo il regista che ha lanciato la protesta questo denota ancora una volta come l’America non riesca a superare la questione razziale e che esista ancora un regime di discriminazione ed apertheid artistico.

Molte figure del mondo del cinema si sono allineate alla protesta ed è stato addirittura proposto di inserire delle quote minime da raggiungere, come le famose “quote rosa” della politica. Proprio questo parallelo dovrebbe riuscire a sottolineare l’assurdità della pretesa (è forse il nome giusto per definirla). In ambiti politici o sociali le quote possono avere un senso, poiché si tratta di rappresentare un ventaglio di identità e personalità differenti tramite un limitato numero di persone, ma in un contesto come quello degli Oscar non esiste questa necessità. Un concorso è per sua natura di carattere unicamente meritocratico, devono essere candidati solamente i migliori attori e registi, a prescindere da qualunque tipo di estrazione etnica o sociale. Inserire numeri minimi di attori di colore sarebbe, come ha detto Michael Caine, “razzismo verso i bianchi”, ma anche verso tutti gli altri.

Se la giuria dell’Academy Awards non ha ritenuto ci fossero attori di colore che meritassero la candidatura non se ne può fare una questione di razza, è sbagliato verso chi si impegna per l’arte come forma di espressione dell’essere umano oltre gli accidenti di nascita. Inoltre la protesta dimostra anche la precaria memoria di chi vi è allineato poiché solo due anni fa fece incetta di premi il film “Dodici Anni Schiavo” di Steve McQueen che trattava proprio il tema razziale e ben due attori di colore del film vinsero il premio, per l’esattezza Chiwetel Eljiofor e Lupita Nyong’o, nelle categorie Miglior Attore Protagonista e Migliore Attrice Non Protagonista.

Potremmo anche aggiungere che Alejandro Inarritu è il primo regista ispanico ad aver vinto un Oscar: dovrebbero lamentarsi tutti gli ispanici per questo intero secolo nel quale sono stati lasciati a bocca asciutta? D’altronde, non sono una minoranza da poco conto nel panorama sociale americano. Questi pochi esempi dovrebbero da soli dimostrare come la protesta sia inattuale e quasi molesta nei confronti di chi davvero si impegna per l’arte e per il valore stesso di un concorso di grande importanza come gli Oscar. Inoltre, pare ormai evidente che attori e registi afro-americani convivano tranquillamente con le altre etnie al cinema. Le discriminazioni basate sul colore della pelle non si sono esaurite, in America e nemmeno nel resto del mondo, ma stavolta è stata scelta una battaglia che ci ha poco a che vedere.

redazione