Occhi di ghiaccio, cuore tricolore: intervista a Pippo Limnell Finocchiaro

La questione degli Oriundi è forse una di quelle più discusse, controverse e guardate con maggior sospetto nell’intero panorama sportivo del nostro Paese. Un’eterna spada di Damocle che pende su delle decisioni più spesso dettate dall’interesse economico che si cela dietro allo straripante fenomeno della globalizzazione.

E mentre c’è ancora chi si interroga su quanto possa risultare vantaggioso condurre una politica di questo genere, nel palcoscenico europeo si continua ad assistere ad episodi sempre più dibattuti e molte volte avversi nei confronti di diversi atleti.

A queste tematiche si lega la storia di Pippo Limnell Finocchiaro, classe 1987, attualmente trapiantato in Olanda in cui ricopre il ruolo di difensore negli Heerenveen Flyers, squadra di hockey su ghiaccio militante nella BeNe League, il massimo campionato che racchiude le migliori formazioni di Belgio e Paesi Bassi.

Catanese di nascita, Pippo si trasferisce presto in Finlandia per seguire le origini della madre ma i primi anni della sua vita trascorsi in Sicilia segnano profondamente la sua personalità, tanto da spingerlo a venire a giocare nel campionato italiano. Dopo il primo tesseramento avvenuto con il Pontebba, riesce a completare quasi due stagioni per poi incappare in un infortunio che spinge la squadra friulana a non registrare il suo transfer card, necessario per poter giocare con il passaporto italiano.

Ciao Pippo, presentati ai nostri lettori e spiegaci da dove deriva la tua doppia origine italo-finlandese.

Sono nato a Catania. Mio padre è italiano mentre mia madre viene dalla Finlandia. E lì che ci siamo trasferiti dopo che ho compiuto 4 anni. Anche se non sono cresciuto nella mia città natale, mi capita spesso di tornarci. Tutta la mia famiglia paterna vive ancora in Sicilia e io vado a visitarla tutte le estati.

Sono passati circa 3 anni da quando hai scoperto di non poter ottenere la naturalizzazione italiana e quindi di non poter momentaneamente tornare a giocare nel nostro Paese. Come hai reagito a quella notizia e come questa ha cambiato la tua vita?

E’ stato durissimo doverlo accettare. Il fatto di non poter lavorare nel mio Paese d’origine è terribile per me e non riesco a capire come possa essere contro la legge. Sono ancora molto deluso e arrabbiato per la decisione presa dalla Federazione Italiana di Hockey. Hanno rovinato la mia carriera.

In passato hai comunque avuto modo di confrontarti con i giocatori del nostro campionato. Come reputi il movimento hockeystico italiano nel panorama internazionale e fino a che livello potrà spingersi?

Credo che in Italia il livello di competitività sia piuttosto buono e che ci sia il potenziale per migliorarlo ulteriormente. Negli ultimi anni è già stato compiuto uno step importante con il passaggio di Bolzano nella EBEL, il massimo campionato austriaco.

Qual è la tua opinione se compariamo la tua storia a quella di molti “italos” (come ad esempio diversi giocatori della nazionale di calcio) che in virtù di un avo di origini italiane si fanno assegnare il secondo passaporto? Pensi ci sia una disparità di giudizio in merito?

No comment.

I risultati sul ghiaccio non sono però tardati ad arrivare in questi ultimi anni. Le vittorie nell’All Star Game olandese in tre differenti edizioni hanno sicuramente arricchito il tuo palmares.

Sicuramente. Sono stati dei successi importanti e adesso spero di competere per altri traguardi come la conquista del campionato e della coppa di lega. Speriamo si rivelino degli obiettivi realistici, perché quest’anno abbiamo una grande squadra.

 

A parte la breve parentesi scozzese, è ormai da diverso tempo che hai trovato stabilità in Olanda. Come ti sei trovato?

Sono felice e mi sento benissimo in Olanda. E’ un posto fantastico e l’hockey su ghiaccio ha un grande seguito. Questo è il mio sesto anno qui e non nego che mi piacerebbe rimanere ancora a lungo.

Hai da poco firmato per gli Heerenveen Flyers. Hai trovato difficoltà ad ambientarti in una nuova squadra? Che livello di competitività hai potuto riscontrare?

Non ho avuto problemi di alcun genere. La gente qui è fantastica e di certo non ho incontrato difficoltà a ricavarmi il mio spazio anche perché ho trovato un ambiente che lavora con grande professionalità ed organizzazione. Come ho detto, per la qualità del gioco che esprimiamo, il target principale sarebbe la vittoria del campionato. E credetemi che possiamo riuscirci.

Spesso non si riesce ad avere la percezione di quanta fisicità sia necessaria per poter giocare una partita di hockey. E’ uno sport davvero così aggressivo?

In effetti sì, c’è molta violenza nell’hockey su ghiaccio e in ogni incontro può sempre succedere qualche inconveniente. In una delle ultime partite che ho giocato, un mio compagno di squadra è stato colpito ad un occhio ed è finito dritto in ospedale mentre io ho preso una botta al naso che ha iniziato a sanguinare. Ho dovuto combattere fino alla fine della partita ma sono riuscito a ripagare il mio avversario con lo stesso identico trattamento. E’ così che va, fa parte dello sport.

Quali sono le tue principali prospettive per il futuro? Continuerai a coltivare il sogno italiano o ti concentrerai ancora a dare il massimo in Olanda? 

Se la Federazione dovesse tornare sui suoi passi, riammettendomi in Italia come giocatore italiano, allora potrebbe aprirsi la possibilità di un mio ritorno in futuro. Ad essere onesto però, ho la sensazione che non cambierà nulla perché le persone che mi hanno messo in questa situazione sono davvero ignoranti e capiscono poco di hockey su ghiaccio. Dall’altro lato posso dire di aver trovato grande serenità in Olanda, quindi restare qui resta comunque una buona opzione.

Quella di Pippo ricorda una di quelle storie in cui il senso di appartenenza ad un Paese, tanto sentito quanto legittimo come nel suo caso, dovrebbe essere in grado di sopraffare qualunque legge giudiziaria ma che purtroppo viene scalzato dagli interessi societari e quindi, inevitabilmente, anche economici.

Giuseppe Forte