Nymphomaniac: spieghiamo perché è un ottimo film

Non si può non parlarne.
Vorremmo poter dire il contrario, davvero, ma Nymphomaniac è un ottimo film.
Ad un discreto cinefilo salta subito all’occhio la differenza tra un prodotto costruito secondo i dettami della dilagante, nauseabonda, gratuita, vacua, scassacazzo tendenza all’epater la bourgeoisie (vedi Harmony Korine) e i rari casi in cui lo scandalo è matematicamente  solo condizione necessaria e non sufficiente per sviluppare al meglio il contenuto. Nymphomaniac appartiene a quest’ultima categoria.

Intendiamoci: von Trier è sulla navicella madre dell’Hipsteria che negli ultimi anni spamma le newsletter delle webzine di tutto il mondo; ma Nymphomaniac, insieme ad altri film della (fortunata) stagione appena trascorsa è un film per la storia, del cinema e non solo.

Come al solito è il giornalettismo italiano e non a costruire l’immagine di un film che poi ovviamente alla visione si rivelerà completamente diverso da quanto ci si aspettava. Stando ai giornali avrei dovuto assistere ad un porno d’autore, in realtà ci si trova davanti ad un magnifico tentativo di trasformare in arte un  trattato di psicologia nemmeno troppo superficiale.
Questa pellicola che chiude una rumorosissima trilogia sulla depressione (iniziata con Antichrist, e proseguita con Melancholia) è a mio avviso anche una splendida chiave di lettura per l’intero progetto. Risponde a molte domande sul’eccentricità del regista. Risponde soprattutto a chi accusava von Trier di misoginia (me compreso): partendo sempre dall’incontestabile assioma che il regista in questione sia il capo degli stronzi e che adori straparlare per mettere tutti in imbarazzo, la sua scelta di concentrarsi sulla natura isterica femminile non deriva soltanto da un odio latente (che sicuramente è presente e non è assolutamente celato: scopava pochissimo, si vede!) ma dalla necessità di raccontare tra i due sessi, quello più vicino alla più pura bestialità umana. Il mestruo, le fanatiche del wicca, l’incomparabile sensibilità dei genitali e della potenza nell’orgasmo, Marisa Laurito, la violenza del parto sono solo alcune delle prove dell’ancestrale iper-reattività femminile.
Raccontare un uomo alle prese con una sessualità malata da un risultato (SHAME di Steve McQueen, 2011/ DON JON di Joseph Gordon-Levitt, 2013, per fare qualche esempio), raccontare l’odissea di una donna è un’altra storia, e richiede violenza, perché il legame che si infetta è più forte, più animale.

Joe (Charlotte Gainsbourg) viene trovata per strada, sanguinante, quasi priva di sensi da Seligman (magnifico personaggio col volto di Stellan Skasgard) che la soccorre, la accoglie in casa e le offre té e pasticcini. Joe per sdebitarsi gli regala la sua spregevole storia. Ogni oggetto in casa poi diventa una scusa per raccontare ciò che l’ha portata fin lì, dividendo il tutto in capitoli, quasi fosse Tarantino.
Joè è antipatica e saccente, Joe somiglia a von Trier, un dito al culo, distante. L’attrice che recita il ruolo della giovane Joe, l’inedita Stacy Martin ruba la scena (forse la cosa è voluta. ndr) e crea distanza tra le due manifestazioni della protagonista, rendendola ancora più lontana ai nostri occhi. Non c’è empatia per Joe, troppo squallida la sua storia.
Dopo le lussuriose, numerose, avventure giovanili l’erotismo per lei assume una dimensione mostruosa, tremenda, unica (una su un milione, ricorre spesso ndr). Joe è diversa: l’eros non è la manifestazione dell’amore o di chissà quale pulsione genitale e primaverile. L’eros è tutto il suo essere, placarsi, sedarsi, vuol dire morire. Riempi tutti i miei buchi, dice al suo prediletto Jerome. A parte quello, lei è il vuoto.

Il cast è eccezionale, anche se a parte Gainsburg, Skasgard e Le Beouf (ex pupillo di Spielberg,  oggi fuori come un balcone) si tratta “solo” di cameo per fortuna relativamente lunghi. Udo Kier nella parte di un insignificante cameriere è la ciliegina sulla torta del cinefilo DOC.

Il pessimismo cosmico non lascia indifferenti.
Potrete annoiarvi, non capirci una mazza, odiarlo, adorarlo, ma una volta terminati i due volumi, quell’idiota di von Trier – grazie anche al buon utilizzo della colonna sonora ed agli enigmatici capezzoloni della Gainsburg – avrà raggiunto il suo obiettivo: annichilirvi. Per pochi minuti, il niente.

Per la visione consigliamo caffè corretto alla montenegrina.

redazione