Il mondo della fotografia nell’era degli smartphone

Se il mondo della fotografia sembrava essere stato stravolto dalla diffusione di macchine fotografiche alla portata di tutti grazie al digitale, in questo secondo decennio ha dovuto fare i conti con un nuovo fenomeno di portata rivoluzionaria. Oggigiorno, infatti, gran parte delle foto che vengono scattate, usando la fotocamera dello smartphone, finiscono in pochi istanti sul web. A dimostrazione di ciò non hanno bisogno di commenti i dati raccolti da KPBC: se nel 2011 le foto caricate on line non superavano i 300 milioni, nel 2015 sono state ben oltre 3300 milioni al giorno. Numeri in crescita insomma che vanno di pari passo con vari fattori quali l’aumento del numero di smartphone in circolazione, la migliore qualità di foto che si possono scattare con gli apparecchi più recenti e, senza dubbio, la diffusione capillare del piano dati sui cellulari anche a causa dell’abbassamento dei costi di connessione.

Ma cosa ne pensano  quelli che hanno davvero studiato fotografia investendo risorse, tempo e amore in questa attività? Ogni nuova tecnologia porta con sé dubbi, perplessità e paure: anche i fotografi professionisti ,come tutti quelli che vivevano cavalcando quello che viene sostituito dalla nuova tecnologia, si sentono presi di mira. James Estrin, giornalista e fotografo del New York Times, ha posto la questione nel suo NYT blog, “Lens“, analizzando l’effetto che il moderno “tsunami” della fotografia amatoriale potrà avere su quella professionale.

Cibo, bambini, gatti, tramonti, selfie, ogni giorno registriamo innumerevoli azioni come se avessero tutte pari importanza perché la democratizzazione della fotografia è diventata sempre più un linguaggio, un modo per comunicare non verbale. Si utilizzano quindi le immagini, come si fa con le parole a volte, per condividere stati d’animo, per prendere appunti, per attirare l’attenzione e per esprimere pensieri profondi.

C’è chi dice che il ruolo e la figura stessa del fotografo sia definitivamente entrata in crisi; si pensi al fatto che ormai gli aspiranti modelli o attori, che vogliono catturare l’attenzione della massa, non hanno più bisogno di investire denaro per delle foto professionali perché attraverso l’uso sapiente di effetti, fotoritocchi e qualche hashtag si può raggiungere una grande popolarità, misurata in termini di likes. Trampolino di lancio per giovani artisti e nuovi talenti, i social sono delle piattaforme che accorciano molto le distanze: oggi ci sono molte gallerie e profili con l’intento proprio di farsi largo, differenziarsi e spiccare il volo nel mondo della notorietà. E’ altrettanto vero però che il bombardamento di immagini, a cui siamo sottoposti, non permette che una fotografia possa emergere e distinguersi perché se a tutti piace tutto, nessuna fotografia è meglio di un’altra.

Philippe Gonzalez, il creatore di Instagramers, dice «Instagram è molto più della fotografia. È comunicazione. Con Instagram siamo tutti fotoreporter. Se è vero che una foto vale mille parole, Instagram vale molto più di Twitter». Così accade che una foto scattata con uno smartphone possa comparire anche sulla copertina di una prestigiosa rivista, con la stessa facilità con cui interi reportage da zone di guerra vengono realizzati interamente usando lo smartphone. Come nel caso di Ben Lowy,  fotoreporter che ha cominciato la sua carriera con la guerra in Iraq nel 2003, diventando celebre per essere stato tra i primi a utilizzare un iPhone come dispositivo discreto per le riprese in zone di conflitto e ha ricevuto numerosi premi per il suo lavoro, quali il World Press Photo, il fondo di emergenza Magnum Foundation e l’ICP Infinity Award per il fotogiornalismo. «La differenza la fa la persona, non lo strumento», conferma Alessandro Di Meo, fotoreporter dell’Ansa. «Gli smartphone sono un’invenzione democratica: hanno permesso a tutti di esprimersi anche senza saperne di tecnica. Ma fare una bella foto, una foto che rimane impressa, è tutt’altro ».

Darwinianamente parlando, sopravvive chi meglio sa adattarsi al cambiamento; ci si evolve, ci si aggiorna, perché fossilizzarsi significa morire e se il mondo cambia è necessario assecondarlo invece che combatterlo. Tuttavia per fare fotografia ci vuole passione, dedizione e studio, tutte cose che Instagram non sarà mai in grado di dare agli utenti, motivo per cui auguriamo lunga vita alla nobile arte della fotografia nel mondo 3.0.

Il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare,
il gusto di catturare:
tre concetti che riassumono l’arte della fotografia.
(Helmut Newton)

 

Lucrezia Vardanega