“Miss Peregrine, la casa dei ragazzi speciali”: Tim Burton ritrova il gusto per la fiaba

Con il suo ultimo film “Miss Peregrine, la casa dei ragazzi speciali”, Tim Burton torna nelle sale, rinvigorendo il suo stile con una pellicola creativa e incalzante, che in larga parte si compone degli stilemi classici del regista, qui amalgamati tra loro con grande equilibrio. Passato un po’ in ombra tra le uscite in sala  (il dominio assoluto del botteghino è stato conquistato in breve tempo da Star Wars Rogue one), il film prende spunto dall’omonimo romanzo di Ransom Rigss.

Jacob, un 16 anne, un po’ timido,  emarginato dai suoi coetanei, è profondamente legato al nonno Abe, un vecchio originale e strampalato (per alcuni un po’ matto), che fin dall’infanzia gli ha sempre raccontato storie fantastiche di mostri e di bambini dotati di poteri speciali, asserendo che si trattasse di fatti da lui realmente vissuti. Dopo la macabra dipartita dell’anziano, avvenuta in circostanze oscure e misteriose, il ragazzo, seguendo le ultime parole del vecchio morente, parte alla ricerca della Casa dei ragazzi speciali di Miss Peregrine, un luogo in cui dovrebbero vivere i personaggi fantastici, descritti da Abe. Si tratta di una casa di accoglienza, un rifugio per bambini ebrei durante la terribile esperienza nazista. I racconti del nonno sono solo favole, da lui create per esorcizzare i traumi subiti, o si tratta invece di vicende reali? A Jakob il compito di scoprirlo.

Come si evince dalla trama avvincente, il film di Burton cattura subito lo spettatore, grazie alla suspance e al mistero che nella prima parte del film fanno da padroni, assieme ad un ritrovato gusto per la fiaba. E’ così che gradualmente Jacob si avvicina alla Casa di Miss Peregrine e ai misteri che essa racchiude, che vengono svelati passo passo, così come le strane e imprevedibili abilità dei suoi ospiti, nonché le inquietanti e orribili minacce che su di essi possono gravare.

Il regista attinge a piene mani dal suo capolavoro “Big Fish”, da lui stesso definito come il suo film più intimo, per costruire l’ossatura della sua nuova opera. Si respirano a pieni polmoni il “sapore” e lo “stupore” del fantastico, che qui sono decisamente più genuini e meno costruiti di quelli del deludente “Alice in the Wonderland” . Come in Big Fish vi è un  adulto che racconta favole, sostenendo che esse siano la verità del suo passato. Anche qui il protagonista è spinto ad “addentrarsi” dentro questi racconti per comprendere se essi siano reali o meno. Realtà e immaginazione si confrontano l’una con l’altra, come in tutte le storie urban fantasy, in cui si ha un doppio legame tra un mondo immaginario e un mondo fantastico. Certo la riflessione di Big Fish è decisamente più profonda e toccante, così come quella di Edward Mani di Forbice, ma nel suo essere un film d’avventura Miss Peregrine raggiunge perfettamente il suo scopo.

Ad impreziosire la storia,  che per molti versi ripropone schemi e personaggi già visti nella saga degli X-men ( a partire dalla Casa per bambini speciali che è una variazione dell’ Università del professor Xavier, in cui trovano rifugio i giovani mutanti) vi sono poi delle dinamiche “fantascientifiche” legate al tempo e al suo scorrere, che rendono l’intreccio più articolato e interessante di quello che inizialmente si sarebbe potuto pensare.

La differenza è netta rispetto alla sceneggiatura ben più incerta di Alice in the Wonderland (che pure si poneva come un importante fantasy). Il racconto è avvincente e i personaggi molto più definiti: dagli eccentrici e carismatici protagonisti “speciali”, ai nemici, I “Vacui”, “spaventosi” e ironici al punto giusto, nel tipico gusto burtoniano, a metà l’orrido e l’umorismo macabro. Il loro capo è il malvagio Barron, un divertente e irresistibile Samuel Jackson. Convincente anche Eva Green, con i suoi occhi blu magnetici e la sua pipa , nei panni di Miss Peregrine, una donna-uccello, padrona del tempo, guida dei suoi bambini diversi. Tra i giovani attori spiccano Asa Butterfield (già visto in Hugo Cabret) e Ella Purnell, la “ragazza volante” dal viso delicato come potrebbe essere quello della protagonista di una fiaba.

L’autore recupera in quest’opera la  fantasia romantica e ispirata di Big fish ed Edward mani di Forbice, infarcita di tocchi horror e di black humor alla “BeetleJuice” e “La sposa cadavere”. Non manca nemmeno qualche venatura trash (di quelle viste in Dark Shadows), soprattutto nell’assurdo combattimento tra mostri e teschi davanti alla giostra sulle note di una canzone a dir poco commerciale ( in questa scena tra l’altro c’è un simpatico cammeo del regista).

Il pregio migliore di Miss Peregrine è di tenere tutto insieme senza sbavature e gli eccessi quando ci sono, sono ben calcolati e non prevalgono sulla storia, ma ne fanno da appendice. Così il regista confeziona un buon fantasy, che sfrutta le scene e i mondi immaginari  del romanzo da cui è tratto per consolidare un gradevole racconto di formazione, in cui il protagonista adolescente, ignorato dai genitori distratti e superficiali, scoprirà ben presto il suo vero ruolo, rendendosi conto di qual è davvero la sua identità.

Francesco Bellia