Merende parigine: tè al gelsomino, gloutof e “L’eleganza del riccio”

Nel centro di Parigi, precisamente al numero 7 di rue de Grenelle, si trova un condominio lussuoso e raffinato, abitato da famiglie facoltose, i cui componenti corrispondono – chi più, chi meno – agli stereotipi francesi degli appartenenti all’alta borghesia. A sorvegliare i movimenti che hanno luogo nel “…bel palazzo privato con cortile e giardino interni, suddiviso in otto appartamenti di gran lusso, tutti abitati, tutti enormi” c’è Renée, che corrisponde anch’essa ad uno stereotipo francese, quello della portinaia “vedova, bassa, brutta, grassottella” che vive con un gatto ed ha la TV accesa tutto il giorno, ad un volume spropositato, sintonizzato su programmi mediocri.

Se avete letto “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery, avete sicuramente riconosciuto questa “impostora”, che si nasconde dietro la maschera della portinaia bisbetica ed ignorante, ma che in realtà è una coltissima autodidatta, appassionata di arte, filosofia, musica e cultura giapponese (il suo gatto grassoccio si chiama Lev in onore di Tolstoij, autore che Renée legge spesso). La vita della portinaia si animerà dopo l’incontro con la dodicenne Paloma Josse, inquilina del condominio e figlia di un Ministro della Repubblica, che ha deciso di togliersi la vita ed incendiare l’appartamento nel giorno del suo compleanno per mostrare tutto il suo disprezzo e la sua insofferenza nei confronti degli adulti. Paloma nasconde la sua capacità di comprendere in maniera profonda ed attenta il mondo che la circonda dietro la maschera della bambina sciocca e problematica, ma sarà l’unica in grado di smascherare Renée affermando che la portinaia ha l’eleganza del riccio (“Madame Michel ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti”), mentre la donna definirà Paloma Giudice dell’Umanità. Paloma e Renée si incontrano e si riconoscono come anime simili grazie all’arrivo di un signore giapponese, Kakuro Ozu, che saprà aprire il cuore della portinaia e farne uscire tutti i sentimenti ed i segreti più oscuri; poi, insieme a lei, farà capire a Paloma qualcosa in più sulla vita.

Il romanzo di Muriel Barbery, docente di filosofia oltre che autrice di romanzi, è più una raccolta di pensieri delle due protagoniste che un vero e proprio racconto; il loro sguardo sulla realtà ci invita a vivere al meglio il presente coltivando i piccoli piaceri: l’amicizia, la letteratura, l’arte, le confidenze e un tè con un dolce. E noi vogliamo farlo imitando proprio Renée e monsieur Ozu, godendo di questo bel romanzo con una bollente tazza di tè al gelsomino ed una fetta di un golosissimo dolce alsaziano, il kugelhopf – o gloutof come lo chiama Manuela, l’amica di Renée e donna delle pulizie del palazzo, che però secondo la portinaia ha più raffinatezza di tutti i suoi abitanti.

La leggenda vuole che la ricetta di questo lievitato all’uvetta sia stata regalata dai re magi ad un pasticciere alsaziano di nome Kugel, come ringraziamento per la sua ospitalità. In realtà sembra che questo dolce, nato in Polonia, sia arrivato in Francia solo dopo essere passato per la Germania e l’Austria. Inoltre, pare che esso sia l’antenato del nostro babà: l’invenzione viene attribuita a Stanislas Lecsczinski, ex re di Polonia e duca della Lorena, il quale volle bagnare nel liquore una fetta troppo asciutta di kugelhopf preparata dal suo pasticciere Stohrer (il fondatore dell’omonima pasticceria Parigina di rue Montorgueil). Lo abbiamo scelto come dolce da abbinare a questo libro non solo perché accompagna una delle merende dei nostri protagonisti, ma anche perché la sua forma ricorda un po’ le “barriere” che Renée ha alzato per nascondere agli altri la sua reale natura.

E con la speranza di aver risvegliato, oltre al vostro appetito, anche la vostra voglia di leggere (o rileggere) questo libro, ci concediamo un’ultima citazione: “Vivere, morire: sono solo le conseguenze di ciò che abbiamo costruito. Quello che conta è costruire bene”.

Emilia Granito