Mara Salvatrucha: i “piccoli” reclutati dai narcos latino-americani

Un rapporto delle Nazioni unite rivela che in America Latina si è registrato il più alto tasso di omicidi al mondo (33%), in particolare in Honduras, Venezuela e El Salvador. Lo studio attribuisce tale fenomeno alla criminalità organizzata giovanile.

Si tratta di bambini e adolescenti, figli di genitori incuranti, che da sempre hanno vissuto per strada tra alcool e stupefacenti, imitando i “più grandi” e diventando loro marionette in quelle vicende che, a parer loro, sono rispettabili. Nonostante la giovane età compiono crimini efferati: omicidi, furti, traffico di droga. La criminalità organizzata rappresenta una delle poche opportunità che questi luoghi hanno da offrire, dove discriminazione, violenza e povertà rappresentano gli scenari di vita quotidiani.

I ragazzi di cui parliamo sono detti “esquineros”, letteralmente “all’angolo”. All’angolo di una società che non offre loro alcuna possibilità, all’angolo della famiglia, all’angolo di una cultura che non ha nulla a che vedere con la violenza, all’angolo della loro stessa vita. Ma come si diventa dei perfetti “esquineros”? La “formazione” dura poco: inizia a 6 anni e a 13 si è già dei professionisti. Le cifre dei minori sicari, detenuti, reclutati e condannati, sono allarmanti ed in costate aumento.

L’organizzazione criminale più conosciuta in America Latina, di cui i giovani entrano a far parte, è nota come “Mara Salvatrucha” (Ms-13, Maras). Tale gang, una delle più violenti al mondo, nasce tra le strade di Los Angeles per poi estendersi in altre zone degli Stati Uniti, Canada, Messico, America centrale, arrivando addirittura oltre oceano in Spagna ed in Italia.  Le attività criminali dell’organizzazione vanno dalla vendita di droghe e armi alle estorsioni, rapine ed omicidi.

Inizialmente riservata ai soli salvadoregni, con il tempo è stata data la possibilità di entrare a far parte della gang a tutti i latino-americani. Ma come si riesce ad entrare nel giro? Come ogni organizzazione criminale che si rispetti, anche in questo caso è necessario superare prove durissime che prevedono pestaggi e violenze di gruppo. Una volta dentro, non si può tornare indietro: oltre all’obbedienza cieca ai boss, chi sceglie di diventare un “Mareros” deve rispettare anche certi canoni d’abbigliamento che sottolineano l’adesione a tale stile di vita; in particolare i ragazzi indossano bandane bianche e azzurre, non a caso i colori che contraddistinguono la bandiera del El Salvador, e usano graffiti per delimitare il proprio territorio. Ma ciò che distingue di più i “Mareros”sono i tatuaggi che li ricoprono che comprendono le lettere MS e il numero 13.

Dai rapporti della Banca Mondiale, delle Nazioni Unite e dai ministeri di ogni Stato, si evince che il fenomeno dei minorenni sicari è in crescita. Un’inchiesta della BBC Mundo ha tracciato un quadro chiaro ed esplicativo del fenomeno, raccogliendo testimonianze di ragazzi che “sono usciti dal giro” che si impegnano ogni giorno per impedire che altri subiscano la stessa sorte, storie di speranza, coraggio e determinazione. Allo stesso tempo, viene dato spazio anche alle storie di chi non ce l’ha fatta ed è rimasta vittima dei suoi stessi reati. I protagonisti di questi racconti sono El Peti, Cecilio Torres e Carlos Cruz, ragazzi diversi con storie diverse ma accomunati da un triste destino.

Leandro Juan alias “El Peti”, diciassettenne di Buenos Aires, venne accusato di ben 10 omicidi prima di essere assassinato con tre colpi di pistola da un coetaneo.  Soprannominato come “il ragazzo che non poteva smettere di uccidere” non è né il primo né l’ultimo delle vittime accondiscendenti e silenziose della criminalità organizzata. Ma a differenza di El Peti, c’è chi è riuscito a cambiare vita, come Cecilio Torres e Carlos Cruz.


Cecilio
, honduregno di 24 anni con alle spalle un passato da criminale, oggi è impegnato a riscattare i ragazzi dalla strada per mezzo della danza e dello sport. L’organizzazione che dirige è “Jovenes contra la violencia” il cui slogan è “Costa meno un pallone che una bara”. Anche Carlos ha abbandonato la vita di strada per fondare un associazione per aiutare i ragazzi della sua città,  “Cauce Ciudadano”. “Ci coinvolgono da piccolissimi nelle pandillas e nel traffico di sostanze. Nel mio gruppo eravamo 23 quando avevamo 13 anni e solo in tre siamo rimasti vivi fino ai 17”, ha raccontato ai microfoni della BBC. Parole che sconvolgono e pesano come dei macigni in quella che, nel terzo millennio, dovrebbe essere una società civile.

Spesso questi ragazzi sono visti come unici colpevoli della loro situazione e non si pensa, invece, che salvarsi da un contesto del genere richiede grandi sforzi e una grande dose di fortuna. Come ha dichiarato il referente UNICEF, Josè Bergua: “ Non bisogna sopravvalutare questi casi e ancor più criminalizzare i giovani. Uscire dal difficile labirinto della violenza è possibile”. Spetta a loro in prima persona, ma anche a noi, dare speranza e possibilità di cambiamento ad una realtà che, troppo spesso, viene abbandonata e ignorata.

Emanuela Punzi