Lettera mai scritta all’uomo che mi ha uccisa

«La cosa più difficile è stata ammettere e accettare quello che mi stava succedendo. Per quanto mi sforzassi di credere che la mia relazione fosse normale, che il mio uomo fosse normale, i lividi sul mio corpo mi dicevano esattamente il contrario.

Il mio incubo iniziò per caso, senza neanche che me ne accorgersi. Tutto partì con una chat e una amica, la quale mi spinse a rispondere a quel ragazzo che per me era uno sconosciuto. Parlavamo spesso e a lungo, come fanno i ragazzi della nostra età, abituati ai rapporti virtuali e alle chiacchierate dietro lo schermo. Senza che nessuno dei due se ne accorgesse, un bel giorno ci rendemmo conto che la nostra non era più una semplice conoscenza virtuale. Il nostro rapporto si era trasformato in qualcos’altro, qualcosa che ti faceva stare male se per qualche ragione eri costretto a passare ore lontano da quel maledetto PC. Ci eravamo innamorati, semplicemente innamorati. Lui era simpatico, divertente, comprensivo, mi aveva conquistato con le sue parole, con il suo fare da gentiluomo, con le mille attenzioni che aveva nei miei riguardi.

In men che non si dica non solo ci vedemmo, ma iniziammo una vera e propria relazione. Tuttavia, la distanza era troppa per riuscire a vivere il rapporto serenamente. “Mi trasferisco a Torino, ho trovato lavoro in una fabbrica. Presto sarò al tuo fianco e lo sarò per sempre“: mi comunicò la sua decisione in un giorno di pioggia, grigio e freddo, eppure nel mio cuore splendeva radioso il sole dell’amore. Se ripenso a quel giorno mi emoziono ancora, mi emoziono nel ricordarmi così felice ed innamorata, perché ben presto non lo sarei più stata.

Fummo felici per qualche mese. Lui mi voleva bene, mi trattava come una principessa, voleva che fossi sempre presente nella sua vita, tanto da riuscire a farmi avere un lavoro nella sua stessa azienda. E così, grazie al mio uomo, mi ritrovai a 20 anni con un contratto da operaia, al contrario delle mie amiche che stavano sprecando tempo e denaro all’università.

L’amore, il lavoro, al famiglia, finalmente avevo davvero tutto quello che una ragazza può desiderare nella sua vita, un sogno che diventa realtà, ma fu proprio da questo momento in poi, che il sogno si trasformò in incubo. Il tutto nacque perché io continuavo ad usare Internet e continuavo a conoscere nuove persone virtualmente. Non che facessi nulla di male, non mi sarei mai permessa di tradire il mio uomo, ma il mondo delle chat online mi appassionava troppo, non riuscivo a smettere. La verità è che su Internet potevo raccontarmi come volevo, essere chi volevo, una donna spigliata, decisa, intraprendente, diversa da quella ragazza timida ed impacciata che vedevo riflessa nello specchio. Ma lui questo non lo capiva.

Iniziarono i primi litigi e, man mano che passavano i giorni, si facevano sempre più accesi. Mi controllava il telefono, il pc, addirittura l’mp3 nel disperato tentativo di scovare una qualsiasi traccia del mio presento tradimento. Era diventato insopportabile, opprimente, ossessivo, violento. E più lui diventata geloso, più io mi chiudevo a riccio nel mio mondo virtuale. Non mangiavo, non dormivo, facevo fatica a coprire le tracce della sua insensata e folle gelosia La mia famiglia era preoccupata e, in verità, iniziavo ad esserlo anche io. Un bel giorno, dopo l’ennesimo litigio decisi di lasciarlo.  “Basta. Non ti voglio più nella mia vita, non sei l’uomo che credevo e io di uno così non so che farmene“, gli dissi.

La mia vita un tempo felice divenne l’incubo peggiore che potessi immaginare, un incubo che aveva un nome e un volto che conoscevo perfettamente. Telefonate, pedinamenti, inseguimenti, messaggi a tutte le ore del giorno e della notte: insomma, lui non si rassegnava e non l’avrebbe mai fatto. Dopo l’ennesimo litigio e l’ennesima brutta figura davanti ai miei colleghi, decisi di denunciarlo. “Basta, deve starmi lontano adesso”, dicevo tra me e me. Eppure sbagliai un’altra volta, senza sapere che quella sarebbe stata l’ultima.

Era venerdì. Stanca di piangere e discutere mi feci accompagnare a casa. “Posso salire?“, mi chiese lui. “No” risposi secca io. “Mi sento male, ho bisogno solo di un bicchiere d’acqua“, mi implorò lui. Non riuscì a dire di no. Stupidamente, lo feci salire a casa e lo feci accomodare proprio su quel divano dove tante volte eravamo stati abbracciati. I miei non erano in casa, anche perché, altrimenti, non avrei mai potuto farlo salire. Fu quello il mio errore fatale. Vide i telefoni, quelli che usavo per comunicare con i miei amici del web. Si infuriò nuovamente ma io, di spalle intenta a riempirgli il bicchiere d’acqua, non feci in tempo ad accorgermene: mi ritrovai di colpo con le sue mani al collo che stringevano, impedendomi di respirare. Riuscì a liberarmi e cercai di scappare, incredula, sconvolta, terrorizzata. Ma fu inutile, non avevo dove andare.

Fu attimo: prese il cordoncino della tenda e me lo strinse al collo. Più stringeva e più sentivo il respiro affievolirsi, il cuore rallentare, l’anima volare. E in quegli attimi di terrore, ripensavo alla mia vita, alla mia famiglia, ai miei amici, a tutti coloro che mi volevano bene. Ripensavo ai momenti felici, alla mia infanzia, alle feste e alle prime uscite “da grandi”. Rivivevo la mia vita come un film, un bellissimo film, che stava arrivando alla sua scena finale. Non ricordo quanto durò l’agonia, ma so solo che alla fine, stremata, tirai un ultimo, impercettibile sospiro e mi addormentai per sempre.

La nostra storia d’amore era finita ma sapevo che un giorno ognuno di noi avrebbe trovato la sua anima gemella. Nonostante tutto, anche durante la tua persecuzione, io te l’auguravo e, invece, la tua ossessione mi ha uccisa e questa speranza è morta insieme a me quel maledetto venerdì pomeriggio di fine estate».

Questa è la storia di una donna come tante, vittima di un uomo violento che ha travestito la propria debolezza con l’amore. Questa donna potrebbe essere chiunque, forse anche tu che leggi in questo istante. Può essere Maria, Chiara, Lucrezia, Gaia, Lorena, Rosanna; potrebbe avere 22, 30, 45, 52 anni; potrebbe essere bionda, mora, alta, un po’ rotonda, timida e fragile o estroversa e dinamica. Oggi il mondo celebra la Giornata contro la violenza sulle donne, testimonianza del fatto che anche un piccolo coro di donne può essere un rumore assordante. Proprio oggi che si denuncia la violenza, si ricordano tutte le donne che non ce l’hanno fatta e quelle che invece una voce ancora ce l’hanno, vogliamo rivolgerci a te uomo, ragazzo o giovane. Puoi essere Mario, Paolo, Giovanni, Luca, Marco; puoi essere un manager di successo o un’operaio; che tu sia alto, basso, bruno o biondo, questa lettera è per te.

Noi donne non abbiamo bisogno di ricordare quanto male possa fare uno schiaffo, quanto umiliante possa essere un ricatto sessuale. Questa giornata è per voi, per ricordare sempre che il problema non è la nostra gonna corta o il nostro talento nel lavoro. Hai un mostro nella testa che devi sconfiggere, perché non è amore quello che usa la violenza; non è rispetto chiedere sesso in cambio di lavoro; non è orgoglio sfregiare un volto con l’acido. E’ infamia e tu non sei altro che uno stronzo!