L’altra faccia dell’isola di Bali: tra colate di cemento e montagne di rifiuti

Foreste pluviali incontaminate, spiagge dalla sabbia finissima, mare cristallino in cui si specchiano meravigliosi templi. Nota come l’Isola felice, Bali è un posto magico, in grado di offrire tanti mondi diversi nel raggio di pochi chilometri: dalla musica anni Novanta delle discoteche del quartiere di Kuta alle spiagge selvagge dove fare surf immersi in una natura incontaminata, dalle terrazze dove si coltiva il riso ai villaggi dove ancora si praticano i combattimenti tra galli e dove non è raro vedere danzare le donne in abiti tradizionali. Tuttavia, come spesso accade, non è tutto oro quello che luccica.

Questo paradiso situato nell’arcipelago indiano, infatti, è a rischio: la sua bellezza e i suoi delicati ecosistemi sono seriamente minacciati. Ogni anno l’isola più famosa e sicuramente tra le più belle dell’Indonesia, accoglie circa dieci milioni di turisti, troppi per limitare il problema della scarsità dell’acqua, dell‘inquinamento, del consumo di plastica di difficile smaltimento. Ad aggravare le criticità ambientali già esistenti, su Bali pende la minaccia di un progetto faraonico che potrebbe mettere a rischio l’ecosistema della Benoa Bay, una della baie più incantevoli di Bali, attualmente ricoperta da una foresta di mangrovie.

Si tratta del “Tirta Wahana Bali International” (Twbi), un controverso progetto che prevede la bonifica del 75% della palude in cui crescono le mangrovie per creare isole artificiali in stile Dubai, destinate ad accogliere resort di lusso, casinò, un campo da golf, un parco divertimenti e un circuito automobilistico. Il tutto per un giro d’affari da tre miliardi di dollari.

Benoa Bay si trovava sotto tutela fino al 2014, quando il presidente indonesiano uscente Susilo Bambang Yudhyono ne revocò lo status di area protetta, dando il via libera ai lavori di costruzione e suscitando lo sdegno dei suoi cittadini. Una decisione di certo poco trasparente, se consideriamo la posizione di Benoa Bay. L’area, infatti, si trova nel cuore dei distretti più ricchi ed a più alta concentrazione turistica e conserva oltre sessanta siti naturali sacri per la religione induista. Per una popolazione che vive di turismo e di pesca come quella di Benoa Bay, un progetto del genere comporterebbe delle ripercussioni più che disastrose. Da non sottovalutare l’aumento del rischio di inondazioni, già molto frequenti sull’isola, come denunciato da Ketut Sarjana Putra, direttore della sezione indonesiana dell’Ong americana “Conservation International”.

Di fronte a questa minaccia, molti giovani si sono riuniti in movimenti di opposizione e protesta come il “Tolak Reklamasi” che, insieme al “Forum for Bali”, ha raggiunto traguardi notevoli nel sensibilizzare l’opinione pubblica sulla salvaguardia dell’ecosistema balinese e in particolare sulla vicenda di Benoa Bay. Il “Tolak Reklamasi” ha sollecitato l’intera comunità a prendersi le proprie responsabilità e reagire per salvare l’identità della loro terra dagli speculatori edilizi e dalla corruzione, altro male che affligge l’Indonesia e le cui vicende si intrecciano pericolosamente con la politica e la gestione della pubblica amministrazione.

In un territorio martoriato dal problema dello smaltimento dei rifiuti e dell’invasione della plastica, è la popolazione che continua a pagare il prezzo di un modello di consumo votato al profitto, alimentato anche dall’arrivo di un turismo di massa, dalla costruzione di enormi centri commerciali, con il notevole aumento della produzione degli scarti e l’incapacità di smaltirli.