L’Africa tra pregiudizi e stereotipi

L’Africa è un’idea. Un qualcosa di indefinibile, un insieme di tradizioni, di civiltà, di spiritualità differenti. Non esiste una storia, né una cultura africana unitaria, così come non esiste una “guerra africana” o un’economia africana, perché di volta in volta l’intervento di altri Stati, in particolare di quelli europei, ha costruito la storia dell’Africa e della sua dominazione durata circa due secoli, imprimendole segni ancora manifesti. Qual è stata la reazione a tutto questo? In che modo gli africani, a lungo soggetti al dominio violento di tipo coloniale, hanno reagito e ridefinito la loro esistenza a partire dall’evento/momento della “de-colonizzazione?” Ma soprattutto, è corretto parlare di superamento del colonialismo? Oggi assistiamo alla fase cosiddetta post-coloniale, caratterizzata da una non piena autonomia e indipendenza del continente verso quei paesi europei che l’hanno soggiogata. A questi se ne sono poi aggiunti degli altri. Russia, Cina, Brasile: tutti sono diventati gli acquirenti principali delle risorse minerarie e dei giacimenti di gas del continente, privando ancora una volta gli africani del beneficio legato alla soddisfazione e al vantaggio dello sfruttamento delle proprie risorse.

Allo stesso tempo l’Africa ha però in sé una forza promotrice e dirompente, rappresentata dai giovani, che costituiscono il 75-80% della popolazione, la percentuale più alta al mondo. Molti di loro sono universitari, leader politici, attivisti, intellettuali, combattenti, guerriglieri, che elaborano ciascuno alla propria maniera una risposta alla situazione politico-sociale. Alcuni, spinti da una sentimento di emarginazione sociale e culturale e da un contesto di inaccessibilità alle risorse economiche, migrano o sfruttano le poche opportunità lavorative offerte, ad esempio arruolandosi  nelle milizie. In un contesto politico simile, fatto di guerre sparse e dislocate che però tendono ad assumere un significato globale, il conflitto più significativo sembra quindi quello delle identità post-coloniali: queste, a ragione, reclamano l’inserimento nella cornice della distribuzione delle risorse che puntualmente l’Occidente depreda, rimettendoli in uno stato di depauperamento, soggezione ed inattività. Le dimensioni da affrontare quando si parla del continente africano, insomma, sono davvero tante.

L’Africa è il continente che ha conosciuto il maggior numero di conflitti, dal crollo del muro di Berlino fino ad oggi. Quindi abbiamo, dal ’89 a oggi, il disfacimento del regime di Sabar e tutta l’area centrale che s’incendia: Liberia, Costa D’Avorio, Sierra Leone e, più tardi, il genocidio in Rwanda e la guerra in Congo. Attualmente i conflitti più recenti sono stati quelli nel Sud del Sudan, Repubblica Centroafricana e altri “minori”.

Dopo Berlino si ha un rovesciamento, nel senso che l’Unione Sovietica non agisce più nello scacchiere africano. Sempre in quegli anni troviamo la presenza di Stati indeboliti dai piani di aggiustamento, indebolendo le stesse società africane. Quello che si verifica è uno stravolgimento delle aree di influenza: da una rivalità precedente tra Stati Uniti e Unione Sovietica si passa ad una rivalità tra Stati Uniti e Francia, così come al collasso di molti regimi. Tra questi ci sono l’Etiopia (armato in modo massiccio) o l’esplosione del conflitto in Mozambico, dove le armi utilizzate verranno poi riciclate in altre guerre africane.

Si profila una dimensione di politica internazionale ed un’altra di politica regionale, a partire dalla quale gli Stati Uniti opteranno per il sostegno di tutti ex-leader marxisti come Zenawi e Isayas in Etiopia ed Eritrea e Museweni e Kagame in Uganda e Rwanda. Emerge di conseguenza la dimensione economica di tutto questo, ossia la competizione per la spartizione delle risorse minerarie e diamantifere. Un caso emblematico è il Congo, dove vi sono minerali preziosi in superficie facilmente estraibili e quindi è sufficiente controllare militarmente una zona per poter beneficiare della loro vendita e commercio. Nell’intero contesto va considerata inoltre la dimensione sociale, che spinge in direzione di una fortissima marginalità giovanile e favorisce l’arruolamento nelle milizie e nei gruppi legati all’estremismo islamico.

Le stesse crisi politiche ed economiche vengono cavalcate spesso dai leader locali in termini etnici, come nel caso del Rwanda e del genocidio; è stato il colonialismo a produrre una “tribalizzazione” dell’Africa, che risponde in primo luogo alla logica del dividi et impera e in secondo luogo alla proiezione delle ossessioni razziste europee sull’Africa, ossia alla creazione di stereotipi razzisti, da parte dei colonizzatori, in relazione agli africani.

Il continente africano è in crescita. La stessa popolazione è composta in maggioranza da giovani. Presenta una situazione eterogenea, caratterizzata da paesi che vanno bene e paesi che vanno male. È il continente più giovane in assoluto, dove il 65-70% della popolazione è costituita da giovani. Quali sono gli effetti o i problemi legati a questo? Si tratta di società con capitale umano “sprecato”, non valorizzato, da cui deriva una forte marginalità giovanile che favorisce l’arruolamento nelle milizie. L’Africa è piena di giovani miliziani e non solo. L’assenza di opportunità lavorative spinge sempre più ragazzi a scegliere la via più breve e la più conveniente. Molti di loro dopo la laurea lasciano il proprio Paese, altri restano e intraprendono strade al limite. L’esclusione dalla ricchezza mondiale, di cui apprendono gli echi dai notiziari, dai film “occidentali” e dai media in generale, causa loro molta frustrazione che incanalano lungo le vie dell’illegalità o della violenza come pratica quotidiana ammessa.

Claudia Ruiz