La violenza non è amore, l’imperativo è piacersi!

Scrivere o leggere di abusi non è un compito facile né un passatempo gradevole, preferiremmo occuparci d’altro, trascorrere i dieci minuti impiegati per leggere questo articolo in attività sicuramente più piacevoli, anche riposare o non fare nulla. Ma il silenzio produce effetti persino più sgradevoli del fastidio di occuparsi ancora, di nuovo e in una ricorrenza, di violenza sulle donne. Il silenzio uccide quanto un coltello o una pistola e nuoce di più del fastidio di parlare.

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, istituita dalle Nazioni Unite nel 1999 ma celebrata in Italia solo dal 2005: non servono leggi, bisogna cambiare le teste.


La violenza sulle donne è una vera e propria piaga sociale, oltre che un dramma personale e familiare, benché negli ultimi 5 anni sia diminuito. Vogliamo parlare di cifre? 6.788.000 donne hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, ovvero il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni, quasi una su tre. La divisione è tristemente equa: il 20,2% ha subito violenza fisica, il 21% quella sessuale. Il 5,4% ha subito nel corso della vita forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri: 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri. Nel nostro Paese ogni anno ci sono 14 milioni di atti di violenza contro le donne, circa 26 ogni minuto. Ma solo il 7,2% denuncia l’accaduto.

Troppi numeri, troppe percentuali che non devono passare in sordina: “Oggi con questi dati cerchiamo di capire i punti di forza e di debolezza dell’attuale sistema di prevenzione delle violenze – ha detto Giovanna Martelli – gli strumenti per combattere i fenomeni non devono essere per forza legislativi. E’ stato varato il Piano Antiviolenza che prevede una serie di interventi ed è un atto di programmazione sistemico per uscire dall’emergenza. Bisogna proseguire questo percorso“.

Quali sono queste norme? Per ciò che riguarda la produzione normativa delle Nazioni Unite, il problema della discriminazione è stato affrontato con la “Dichiarazione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna” (non vincolante), adottata dall’Assemblea Generale nel 1967. Un ulteriore passo è poi stato raggiunto con la “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne” (Cedaw), adottata nel 1979 e ratificata dall’Italia nel 1985. Con la ratifica gli Stati si sono assunti l’obbligo di assicurare che le donne possano godere in concreto dei loro diritti fondamentali, non soltanto attraverso delle leggi che rimuovono situazioni di disuguaglianza, ma anche la promozione di quel cambiamento culturale necessario per il riconoscimento della libertà di scelta della donna e della tutela della sua integrità psicofisica.


E l’Italia? Il nostro Paese nonostante gli sforzi normati degli ultimi anni e l’intensificarsi delle campagne di sensibilizzazione, sembra non riesca a eliminare il problema, subendo addirittura un richiamo dell’Onu al governo: “In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale”. Le osservazioni all’Italia di Rashida Manjoo, Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne. “Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita – ha detto Manjoo. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l’adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza, ma questi risultati non hanno però portato a una diminuzione di femmicidi o sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine”.

Ci vuole una rieducazione sentimentale che modifichi l’assegnazione dei ruoli. La paura delle bambine di non somigliare a un ideale. La pretesa degli uomini di avere compagne conformi ai propri desideri.

L’errore? Essere come vogliono che tu sia. Alla fine è questo il meccanismo da scardinare, insito nel profondo della mente e dell’anima di ciascuno. Non è vero, bambina, che devi essere come vogliono che tu sia. Non è vero, ragazzo, che puoi pretendere che le donne siano come tu le vuoi. La prima battaglia da portare avanti deve riguardare l’estetica, contro la paura di non essere “giuste”, di non somigliare a quello che dovresti essere e alla fine da grande guardarsi allo specchio e dire che c’è un solo modo per cambiare un fidanzato violento: cambiare fidanzato. L’imperativo è PIACERSI e dunque PROTEGGERSI!

Claudia Ruiz