La Febbre di Zika: il nuovo ricercato

Si tratti d’influenza o di ben più gravi febbri emorragiche, negli ultimi anni virus ed epidemie sono spesso stati al centro della cronaca. Di recente, un nuovo nemico da combattere è comparso all’orizzonte, si tratta della “Febbre di Zika”, o infezione da virus Zika, originaria dell’Africa, ma pronta a diffondersi in tutto il mondo, tanto da preoccupare anche l’Occidente. A volte, diventa difficile distinguere tra supposizioni e verità scientifiche nel marasma di informazioni a nostra disposizione. Per questa ragione noi di Social Up ne abbiamo raccolte alcune per voi.

Cos’è la Febbre di Zika e da dove salta fuori?

Si tratta dell’insieme di sintomi associati all’infezione da parte di un Flavivirus, come il virus della febbre gialla, denominato Zika virus. Nonostante la parentela appena citata, la febbre di Zika ha sintomi piuttosto blandi, limitati a febbre, dolori articolari localizzati, eruzioni cutanee e a volte congiuntivite. La loro durata è assai limitata nel tempo, da due giorni ad una settimana, sebbene l’incubazione abbia una durata compresa tra i tre ed i dodici giorni. Si stima che l’infezione risulti essere asintomatica nell’80% dei casi. Va da sé che, con una sintomatologia così leggera, non sono stati ancora riportati casi di morte dovuti a questa patologia.
A differenza di quanto si possa pensare, Zika non è poi “nuovo di zecca”.  La sua prima comparsa risale al 1947, in Uganda, nel bel mezzo della foresta di Zika da cui prende il nome. Ovviamente, da allora ci sono stati altri e sporadici casi, prevalentemente in Africa e Sud-Est Asiatico, ma di epidemia vera e propria si è parlato soltanto nel 2015.

Come mai se ne parla solo adesso?

La prima epidemia, fresca di insorgenza, si è verificata in Brasile. Nessun caso di morte registrato, ma forse qualcosa di più inquietante. Sembra ci sia, infatti, la possibilità che l’infezione da virus Zika in gravidanza porti, nel nascituro, a microencefalia. La microcefalia è una malformazione che porta a uno sviluppo più contenuto del cranio rispetto al normale, con deficit di crescita che interessano anche il cervello. La malattia, che può presentarsi con diversi livelli di gravità, diventa letale nel momento in cui il cervello è troppo poco sviluppato per poter gestire tutte le funzioni vitali. Fino a poco tempo fa, la microencefalia era considerata congenita. Tuttavia, negli ultimi decenni, diversi studi hanno evidenziato come altri agenti esterni possano condizionare lo sviluppo di questa malformazione come l’abuso di sostanze stupefacenti durante la gravidanza o l’infezione da parte di alcuni virus, come quello della rosolia. In Brasile, in concomitanza con l’insorgenza dell’epidemia di Zika, sembra esserci stato un cospicuo aumento del numero di casi di microencefalia. Il numero di bambini nati con la malformazione è salito, infatti, dai 150 registrati nel 2014, a ben 3500 nel 2015.
Sono state trovate tracce del virus nella placenta e nel liquido amniotico dei nati ed alcuni dei bambini deceduti a causa della malattia risultavano infetti.  Per quanto non ci sia ancora la dimostrazione inequivocabile dell’esistenza di un legame tra infezione e malformazione, l’OMS invita alla precauzione. Fino ad ora il CDC (Centers for Desease Control and Prevention), che da sempre tiene sotto controllo le emergenze sanitarie in tutto il mondo, non ha disposto alcun tipo di misura restrittiva, ma sconsiglia alle donne in gravidanza, o che tentano di avere un bambino, di viaggiare nei luoghi in cui sono in corso epidemie di Zika. Considerata la necessità della zanzara quale vettore per la trasmissione del virus e che il contagio da uomo a uomo non sembra ad oggi possibile, un modo efficace per scongiurare la possibilità di infezione pare rappresentato dall’uso di repellenti contro gli insetti. Ovviamente, ne esistono di tipologie perfettamente tollerabili anche dalle donne in gravidanza. È, per altro, importante ricordare che l’infezione da virus Zika non pregiudica l’esito di gravidanze future, successive all’infezione.

 Chi ha tempo non aspetti tempo!

Sebbene il virus Zika non rappresenti quella che, comunemente, chiameremmo emergenza e, quantomeno, sia ancora lontana dalla catastrofica esperienza di Ebola, è opinione comune che non bisogni farsi trovare impreparati. Dal Brasile, infatti, si è già diffuso, sebbene con un numero limitato di casi, a ben 21 paesi: Argentina, Barbados, Bolivia, Colombia, Repubblica Domenicana, Ecuador, El Salvador, Guiana francese, Guadeloupe, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Martinica, Messico, Panama, Paraguay, Puerto Rico, Saint Martin, Suriname e Venezuela. Secondo le proiezioni dell’OMS, il numero di casi è destinato ad aumentare, pertanto ogni minuto perso potrebbe rivelarsi fondamentale.
Due ricercatori americani, Daniel R. Lucey, e Lawrence O. Gostin, l’hanno messo nero su bianco in un articolo pubblicato dalla rivista scientifica JAMA (The Journal of American Medical Association). Quello che loro si auspicano, ed un po’ ci auspichiamo anche noi, è un impegno da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dei governi dei singoli stati per l’incentivazione della ricerca su questa patologia. L’assenza di sintomi in circa l’80% dei contagi ha, fino ad ora, catalizzato ben poco l’interesse scientifico essendo presenti numerose altre patologie identificate quali emergenze immediate. L’ipotetica correlazione tra l’infezione del virus e le malformazioni fetali, però, cambia le carte in tavola. Urge non solo fare chiarezza, ma limitare il più possibile i contagi e per farlo disponiamo di un vantaggio non da poco: conosciamo con certezza il vettore della malattia. Non rimane che, come primo intervento, controllarne la popolazione.
L’1 Febbraio 2016 l’OMS ha dichiarato che il numero spropositato di casi di malformazioni neonatali, verificatesi nella zona delle Americhe, è un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. In particolare, c’è il forte sospetto che esista una relazione causale tra il virus Zika e l’insorgenza della microencefalia, alla luce della similarità tra il focolaio microencefalico del Brasile nel 2015 e quello del 2014 nella Polinesia Francese.
Lo stato di emergenza è essenzialmente finalizzato a perfezionare la cooperazione tra gli stati nella ricerca di una terapia efficace e risolutiva.
 
Silvia D'Amico