Katharine Hepburn: fascino, classe e talento di un’attrice simbolo della diversità

Sarà stata la diversità della sua bellezza rifinita da una espressività cangiante che accoppiata alle movenze sicure la rendeva sicuramente affascinante e malgrado non fosse una bellezza appariscente piaceva molto agli uomini.

Sarà stata la sua straordinaria classe di attrice capace di incisive, indimenticabili e straordinarie interpretazioni che sfociarono in ben dodici nomination all’Oscar conquistando quattro vittorie, un’infinità di altre candidature e una caterva di riconoscimenti vari.

Sarà stata la sua strabocchevole personalità di donna evoluta, colta, stravagante ma anche volubile, testarda e sofisticata figlia di un’agiata famiglia della buona borghesia americana, che incise non poco sul campo del costume e dell’impegno sociale, a stamparla nella mente dell’immaginario collettivo femminile.

Sta di fatto che Lei, Katharine Hepburn nata a Hartford in Connecticut nel 1907, divenne protagonista del suo tempo e in circa settanta anni di carriera riuscì a trasferire sul grande schermo tanti personaggi con caratteristiche tali da contrastare i vecchi assiomi maschilisti uno tra i quali affermava in sostanza che Il carattere poteva essere il destino di un uomo ma giammai di una donna.

Dai primi dai anni venti, fin da giovanissima sulle orme della madre suffragetta, cominciò a diventare una presenza di riferimento per le sempre più scottanti problematiche femminili.

Sempre vogliosa di nuove esperienze oltreché praticare sport, coltivava la passione per il teatro e siccome era brava e dotata di un carattere volitivo, riuscì ben presto a passare dalle tavole scricchiolanti dei palcoscenici scolastici, alle recite femministe e amatoriali. Continuò poi nei teatri dalle luci intermittenti di Broadway per finire di fronte all’inconfondibile ronzio della cinepresa. Dopo qualche intoppo, a venticinque anni nel 1932 arrivò il primo successo al fianco di John Barrymore in “Febbre di vivere” e l’anno dopo già girava con Douglas Fairbanks Jr, il film ”La gloria del mattino” con cui addirittura vinse il premio Oscar assegnatole poi nel 1934.

Incominciò così il percorso contrassegnato dalle tante figure di donne disseminate che, nell’arco tra il 1938 e il 1982, portò la Hepburn a rappresentare anche la loro emancipazione in diversi contesti. Una dopo l’altra, ognuna con la propria storia cucita addosso, s’avvicendano: “Susanna” la disinvolta e ricca signorina simbolo di ragazza moderna degli anni trenta che s’innamora dell’impacciato studioso Cary Grant; l’ altezzosa Tracy, cerebrale e capricciosa ereditiera che balla in giardino con James Stewart  sul  bordo della fontana in “Scandalo a Filadelfia”; l’avvocato Amanda de “La costola D’Adamo” avvolta in fruscianti tailleur che non rinuncia alla propria femminilità  dibattendo in tribunale col tollerante marito procuratore Spencer Tracy; la sfiorita ma coraggiosa missionaria Rose che convince la scettico Humphrey Bogart a rischiare la vita per un ideale ne “La regina d’Africa”;  la matura turista Jane che sceglie di rimanere sola abbandonando l’ammogliato Rossano Brazzi in ”Tempo d’estate”; la zitella sognatrice Lizzie con i suoi  provinciali abiti infiocchettati, sedotta dalla vitale energia del ciarlatano Burt Lancaster, sedicente “Mago della pioggia”; la battagliera Bunny che ribadisce il suo ruolo  di rinomata professionista nel film “La segretaria quasi privata”.
Dopo la parentesi di “Improvvisamente l’estate scorsa,” in cui caratterizza la morbosa Violet che impazzisce alle scottanti rivelazioni sul figlio da parte di Liz Taylor incoraggiata da Montgomery Clift, l’inossidabile Katharine  ritorna ancora in coppia con Spencer Tracy, finto burbero suo compagno di vita con il quale non le fu necessario recitare sul set  e nei panni della liberal Cristina, condivide con lui la spinosa questione razziale di quegli anni ne “Indovina chi viene a Cena”?; poi connota di regale dignità Eleonora fasciata nel suo abbigliamento medievale che si scontra col sulfureo Peter O’Toole sulla designazione dell’erede al trono ne “Il leone d’inverno”e infine si ritrova in Ethel la comprensiva e affettuosa moglie, che assieme allo scorbutico marito Henry Fonda conquista l’affetto del nipotino in “Il lago dorato”, tenero crepuscolo per ambedue gli attori ormai anziani.
Di fatto l’ultima grande recita di un’attrice che seppe vivere bene il suo tempo facendo sempre un passo avanti nel futuro  per non subire il lento succedere delle cose. E quando nel 2003 si spense non ebbe bisogno di evidente celebrazione: Lei non imboccò mai il viale del tramonto perché, considerata quasi all’unanimità la più grande attrice di tutti i tempi, da quel giorno sul suo passato il sole del ricordo cominciò a splendere ancora più luminoso.

Vincenzo Filippo Bumbica