James Dean: gioventù bruciata di un attore ribelle

La sua ipersensibilità si trascinava dietro la zavorra dell’insicurezza. Solo sul set, a bordo di un’auto o a cavallo di una moto poteva liberarsene. James Dean era fatto così: un diverso, malinconico figlio di un’infanzia difficile, che divenne ambiguo e irriverente per soddisfare il sottile piacere di non dare troppe spiegazioni e il bisogno interiore di trovare adeguate risposte al suo disagio esistenziale.
Siccome però era sveglio, veloce e perspicace fu inevitabile che affrontasse queste complicanze solo pigiando a tavoletta sull’acceleratore della sua vita.
Timido, ma straordinariamente bello a dispetto di una modesta statura e nonostante modi talvolta goffi e incerti accoppiati a una certa “durezza” recitativa che marcava i suoi delicati lineamenti, impose lo stesso il suo stile personale portando in scena la proiezione del suo ego.

“Gioventù bruciata” il suo film d’esordio del 1955, dove con tutta la sua naturalezza impersona Jim Stark, il disadattato giovane in fase di crescita e per questo in perenne conflitto con una società in declino, si rivelò un successo repentino, clamoroso e inaspettato. Al suo fianco, anch’essa ai primi passi, la graziosa, promettente e complementare Natalie Wood, contribuisce a rimarcare il difficile ruolo dell’adolescente che si appresta a diventare donna. Entrambi evidenziano così tutte le problematiche generazionali del dopo guerra in una piccola cittadina statunitense.
Al primo colpo dunque l’enigmatico James Byron Dean, nato a Marion nel 1931, fece centro. Anche lui allievo del famoso “Actors Studio”, si propose come una credibile alternativa al carismatico Marlon Brando: l’indiscutibile pezzo da novanta cresciuto in quella famosa scuola di recitazione che, interpretando alla sua maniera il personaggio del film “Il selvaggio”, aveva riscosso entusiastici consensi e forti immedesimazioni tra gli insofferenti teenager dell’epoca.
Sfruttando appieno l’inerzia di” Gioventù bruciata”, quel provinciale venuto dall’Indiana bruciò invece la sue tappe soffiando a un certo Paul Newman la parte del protagonista di“ La valle dell’Eden”, dove la magnifica guida del regista Elia Kazan esalta ancor di più le esasperazioni emotive di un ruolo che alla fine si disegna su di lui come un abito confezionato apposta.
Il film narra le travagliate vicende di Cal Trask, un tenero giovanotto bisognoso dell’affetto di una madre assente che incompreso e inquieto tenta disperatamente di riscattarsi agli occhi del padre le cui pupille brillano solo per il figlio maggiore Aaron. Il suo innamoramento per la fidanzata di quest’ultimo complica viepiù le cose.

Anche in questo caso, da protagonista assoluto però, James Dean proietta sullo schermo la sua insofferenza personale che ricalca quella delle intere schiere dei suoi fan deliranti.
L’anno dopo eccolo più fosco che mai, nei panni dell’ambizioso e intelligente Jett Rink. Risplende al sole del profondo sud americano, la sagoma dell’indefesso cercatore di petrolio a poca distanza dal grandioso ranch dei Benedict proprietari dell’immensa tenuta texana. Troppo diversi i due protagonisti per non venire a contrasto. Jordan Benedict (Rock Hudson) è un uomo probo, onesto e rigido, mentre il tenebroso ex dipendente diventerà sempre più intollerabile nei comportamenti: comincia corteggiando la splendida moglie del rivale, una abbagliante Elizabeth Taylor e finisce cinico, sfatto e alcolizzato a usare sua figlia.
Un’altra perla interpretativa si aggiunse alle prime due, e tali pregevoli interpretazioni forse non sarebbero bastate a renderlo immortale eroe non solo cinematografico, se non fosse stato che durante la lavorazione del film avvenne la sua prematura scomparsa dovuta alla tragica fatalità che il rischio comporta. Il pomeriggio del 30 settembre 1955 il ventiquattrenne James Dean mentre si recava a una corsa, paradossalmente ad andatura non troppo sostenuta, andò a sbattere con la sua Porsche contro un’altra auto perdendo la vita.

In quel preciso istante la sua immagine ha fermato il tempo diventando una sorta di “Ritratto di Dorian Gray”, ancora più surreale nel suo stupefacente doppio effetto contrario:chi muore rimane un fantasma il cui ricordo purtroppo invecchia, mentre il suo volto sulla tela diventando un’icona, rimane immutato a dispetto del tempo, intatto e appena impolverato. Basta un soffio perché Jimmy, in jeans, maglietta bianca e giubbotto rosso appaia a raccontare la sua breve storia. Quella di un ribelle il cui cruccio esistenziale divenne simbolo del disagio giovanile di quel periodo; quella di un giovane introverso, tormentoso e tormentato che recitando mise in scena la sua fragilità interiore; quella di un uomo solitario respinto dalla sua vera passione amorosa, quella Anna Maria Pierangeli che rappresentò  a lungo il suo insano sperdimento spegnendogli il bisogno di invaghirsi ancora e lasciandogli solo la frenesia di vivere come principale compagna.

La sua smania di sfidarsi continuamente sconfisse però la paura di un mesto e anonimo futuro: il tenero Cal de “La valle dell’Eden”; il problematico Jim di “Gioventù bruciata” e l’arrembante Jett di “Il gigante”, non sono personaggi qualunque. I primi due nella speranzosa ricerca del riscatto mentre l’altro si consuma nel vizio della ricchezza. Tutti e tre comunque non diventeranno mai abbruttiti, vecchi e cadenti.
James ancor oggi li tiene in vita a suggello di un’immagine che non muore mai. Così benché la breve carriera cinematografica, solo queste grandi interpretazioni, entra a pieno titolo nella ristretta cerchia dei cosiddetti Ribelli di Hollywood, il cui capostipite Montgomery Clift brillava ancora inconrastato

 

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Vincenzo Filippo Bumbica