Intervista Vanni Santoni – Lo scrittore underground candidato al Premio Strega

Di Zoe Rossi per Social Up!

Vanni Santoni, classe 1978, è un giovane autore originario del Valdarno ma gioiosamente adottato dalla bella e misteriosa Firenze. Da sempre vicino ai luoghi e i temi dell’underground, dopo l’esordio nel 2006 con Personaggi Precari, edizioni RGB, un’opera sperimentale che descrive innumerevoli personaggi, pubblica il suo primo romanzo Gli Interessi in comune con Feltrinelli nella collana I Narratori. Con la sua prospettiva divergente, Santoni ci racconta universi che altrimenti rischierebbero di passare inosservati. Dal 2012 si occupa anche della parte narrativa per la casa editrice Tunuè, che da allora si è affermata per la qualità dei testi e la valorizzazione di nuovi talenti. Dal 2013 si avvicina al mondo del Fantasy con Terra Ignota, per poi addentrarsi nel mondo oscuro dei rave party col romanzo-saggio Muro di casse. Si occupa anche di corsi di scrittura stimolanti e vivaci, in collaborazione con La Scuola del Libro di Roma. Torna sugli scaffali questa primavera col titolo La stanza Profonda, Edizioni Laterza nella collana Solaris, e viene inserito nella rosa dei candidati al Premio Strega 2017.

Come e quando ti sei avvicinato alla letteratura?

Ho cominciato a scrivere in età relativamente tarda, a ventisei anni. Nell’ambito della mia frequentazione dell’Elettro+, uno spazio autogestito attivo a Firenze tra il 2003 e il 2005, entrai in contatto con la rivista autoprodotta “Mostro”. Era molto influenzata nell’estetica e nella poetica da Borges, uno dei miei primi numi tutelari, così, quasi per gioco, e proprio perché conoscevo bene quelle atmosfere, provai a scrivere un racconto ispirandomi a mia volta a Borges e glielo inviai. Mi invitarono in redazione per discuterlo. Mi colpì molto il fatto che quei ragazzi, ogni venerdì sera, si ritrovassero per leggere i loro racconti e brani dai classici: per discuterli e dibatterli. Tornai il venerdì successivo e anche quello dopo, sempre con nuovi racconti. Alla fine me ne pubblicarono uno e poi un altro, e qualcosa di grosso doveva essersi sbloccato, perché nel frattempo avevo aperto due blog per pubblicarvi ulteriori miei testi e stavo scrivendo un romanzo. Quel romanzo vinse un concorso per inediti indetto da una casa editrice storica, da poco rifondata, che prometteva in premio la pubblicazione. Commisi l’errore di dire a tutti che avevo vinto, che il mio romanzo sarebbe uscito. La casa editrice tradì i partecipanti – di fatto incassò la quota di partecipazione di tutti senza poi pubblicare i vincitori – e poco dopo andò pure in bancarotta. Così mi trovai in una situazione infelice: avevo ormai detto in giro di essere uno scrittore, dovevo pubblicare per forza quel libro, o un altro, o sarei stato solo un millantatore. Proposi il testo in giro, a case editrici e agenzie, ma rimediai solo rifiuti o silenzi. Non mi persi d’animo e cominciai a scrivere altri due romanzi. Nel frattempo i miei blog crescevano, e un testo tratto dal primo, “Personaggi precari”, vinse un altro concorso che metteva in premio la pubblicazione. Questa volta l’editore fu onesto, e Personaggi precari, il mio libro d’esordio, uscì per la micro-casa editrice RGB nel 2007. Nel frattempo avevo finito uno di quei due romanzi che andavo scrivendo, lo mandai in giro assieme a quel libriccino fresco di stampa e stavolta una casa editrice rispose. Feltrinelli! Giorno fausto. Quando Gli interessi in comune arrivò nelle librerie di tutta Italia capii che esisteva la possibilità di fare questo mestiere, e mi misi a lavorare ai testi – e alla lettura – in modo ancora più totalizzante.

Il tuo nuovo romanzo, La stanza profonda, tratta – come spesso accade nel tuo lavoro – di underground e tendenze che rischiano di passare inosservate: come procedi nel trovare l’argomento perfetto per il tuo prossimo lavoro? 

In realtà la banale verità è che sono stato un giocatore di ruolo per due decenni, così come Muro di casse veniva dalla mia esperienza, pure ventennale, di frequentatore di rave. Ho scritto quindi di ciò che ho vissuto, anche se già mentre scrivevo il romanzo precedente ho capito che i fenomeni sotterranei sono anche un punto di vista privilegiato per guardare alla realtà in generale.

Come funziona il tuo processo creativo?

Dipende dal libro. Ognuno, e credo valga per qualunque autore, trova la sua strada in modo diverso e seguendo processi diversi. Quando scrivo romanzi che includono una componente saggistica, come è il caso della Stanza profonda o di Muro di casse, pur partendo comunque da un’immagine o da una suggestione narrativa, effettuo quasi subito un consistente lavoro di documentazione, leggendo tutta o quasi la saggistica esistente sull’argomento, catalogo i temi, poi lascio decantare un po’ e comincio la scrittura, realizzando schemi via via che procedo, e cambiandoli continuamente. Col fantasy di Terra ignota, ho lavorato in modo più cinematografico: soggetto, poi sceneggiatura, poi trattamento, e da lì la stesura. Essendo in un romanzo avventuroso erano dominanti le esigenze narrative e lavorando così si gestiscono meglio gli archi, i picchi di pathos, la formazione dei personaggi. Per i romanzi “puri”, come Gli interessi in comune o il testo grosso che ho in lavorazione al momento, in parallelo al prequel di Terra ignota, seguo solo l’ispirazione (pur all’interno di una severa disciplina la cui regola cardinale è scrivere tutti i giorni) e comincio a fare schemi solo quando ho già scritto un centinaio di pagine, o anche più. Per quanto riguarda i Personaggi precari, come del resto i testi poetici di 999 rooms, si tratta di acchiappare una suggestione del momento: appunto subito sul taccuino o sul cellulare e poi, il giorno stesso, prima che si freddi, cerco di elaborarla.

Che ruolo ha l’autobiografia nella stesura di La stanza profonda

È evidente che sia nella Stanza profonda che in Muro di casse sono partito da esperienze personali, ma quando poi la stesura è entrata nel vivo mi sono divertito a ibridare con esperienze e punti di vista diversi, il che evidentemente è anche proficuo per avere più punti di vista. Alla fine sono usciti fuori due romanzi di pura fiction, non mi azzarderei a chiamarli memoir, nemmeno in parte, anche se quasi tutto ciò che viene raccontato in entrambi mi è in qualche modo accaduto, magari con altra gente, in altri tempi o in modalità differenti. Fiction is fiction, come aveva a dire Nabokov.

Che ruolo ha il fantasy nella tua produzione letteraria più recente?

Il dittico di Terra ignota, che si completerà in trilogia con il prequel, L’impero del sogno, previsto in autunno sempre per Mondadori, è stato un’esperienza importante della mia produzione, che mi ha permesso di sperimentare in modo selvaggio – dato che agivo in un territorio in qualche modo più sicuro – con l’intertestualità. Con L’impero del sogno andrò in un’altra direzione, il suo compito è collegare i due romanzi fantasy con il mio micro-canone realistico, quindi ho scelto una direzione che sta tra il cosiddetto “urban fantasy” – alla Gaiman, per capirci – e il fantastico colto di marca europea, ma con una, se vogliamo bizzarra, anima “action” che viene da fumetti Vertigo come Hellblazer o Preacher se non addirittura da quelli Marvel.

Giochi ancora a Dungeons&Dragons?

Se intendi il D&D come sistema, l’ho abbandonato a undici anni per una forma ibrida D&D/AD&D, e poi a diciassette per vari sistemi tra cui ricorderei almeno CyberpunkKata KumbasCthulhuGiRSA (e poi Rolemaster), V:tM e il grandissimo Champions, prima di creare, a venti, il mio sistema di regole originale, che ho utilizzato poi, con cambiamenti e aggiornamenti a seconda delle ambientazioni e dei suggerimenti dei miei giocatori, per altri quindici anni. Ho smesso di giocare a trentacinque anni, quando gli impegni di lavoro sono diventati davvero insostenibili.

La mia parte preferita era fare le schede personaggio. Qual era il tuo ruolo preferito?

Anche a me piace moltissimo quel momento iniziale in cui tutti i giocatori creano i loro personaggi. Una vera genesi, in cui fibrillano in potenza infinite possibili direzioni narrative, oltre che la crescita, il divenire, di quegli stessi individui. Come ruolo, per quanto ovviamente abbia anche fatto il mio da giocatore – ricordo con affetto un paladino biondo, stupido e incorruttibile, ispirato all’Avatar della serie Ultima, e Madara, uno scheletro a tre teste in una campagna reverse dove interpretavamo i mostri – mi è toccato quello di dungeon master e l’ho svolto con diligenza per molti, molti anni. Mi piaceva molto creare il mondo, e disegnarne io stesso la mappa, ma insomma, tutto è bello nei giochi di ruolo.

Andrea Calabrò