Intervista a Chiara Dello Iacovo, giovane promessa della musica italiana

Abbiamo avuto modo di conoscerla e di apprezzarla dapprima sotto i riflettori di The Voice e successivamente sul palco dell’Ariston. Giovane promessa della musica tra le file del cantautorato italiano, Chiara Dello Iacovo torna ad entusiasmarci più che mai con il suo ultimo tour conclusosi lo scorso 25 febbraio a Mantova. Alla luce delle sue ultime esperienze ed in vista della realizzazione del prossimo album, noi di Social Up l’abbiamo incontrata per voi.

Chiara, poco più che ventenne ed un’esperienza alle spalle come Sanremo, la quale ti ha vista emergere nella categoria nuove proposte con il brano “Intro-Verso”. Come nasce questa canzone?

Introverso nasce nella stanza d’hotel dove sostanzialmente vivevo durante la mia partecipazione a TheVoice e parla proprio delle dinamiche del mondo dello spettacolo che fino ad allora mi era del tutto estraneo. Parla di quanto avessi sofferto quella pressione di dover sempre mostrare il proprio involucro anche quando all’interno senti che in quel momento non c’è niente di meritevole di essere messo in luce. Ogni frase si riferisce ad azioni che svolgevo, stati d’animo, o ambienti che frequentavo durante il talent. Addirittura frasi come “È tutto sterile ed asettico” si riferivano direttamente all’ambiente composto e distaccato dell’hotel, oppure “Non basta un documento per assumere un’identità” deriva dal modo seriale in cui ogni giorno dovevamo mostrare i documenti entrando nelle sedi Rai.

Sei una cantautrice alle prese con l’inseguimento di una tradizione che pare sia appannaggio di una generazione sempre più over. Come è raccontare una storia in musica e qual è il tuo punto forte?

Se i miei maestri in fase iniziale sono stati sicuramente i grandi pilastri come De Gregori, De Andrè o Gaber, adesso onestamente non mi sento più un’epigone della vecchia leva. Ogni canzone nuova mi porta in un territorio che prima non conoscevo. A volte parto dai testi, a volte è la musica a suggerirmeli. Di sicuro però mi viene più facile raccontare con i versi che con i suoni.

Nelle tue esibizioni e videoclip traspare una grande capacità mimica. Che importanza rivestono per te l’aspetto espressivo e comunicativo?

L’arte in questo millennio ha come fulcro l’abilità di comunicazione. Quello che dici, come lo dici, quale intenzione lo sottende, come lo spettatore recepisce il messaggio; per far sì che funzioni non basta cantare bene o suonare bene, è un insieme molto più complesso di fattori. Ci sto lavorando molto.

Dal San Jorio Festival al Tour Music Fest, passando per The Voice ed infine Musicultura. Quanto queste esperienze ti hanno cambiata?

Sicuramente un’esperienza della portata di Musicultura non può avere lo stesso impatto di una come il San Jorio Festival, che aveva luogo ancora prima del mio debutto ufficiale sulla scena. Ognuna di loro aggiunge la sua filigrana alla tua geografia, chi porta fiori e chi valanghe. Tutto fa parte e tutto fa crescere se si ha il coraggio e un po’ di incoscienza per affacciarvisi a viso aperto.

Nel brano “La mia città” ne descrivi il difficile e controverso rapporto con essa. In realtà cosa ti aspetti dalla tua città? Ti senti davvero, come nella canzone, una clandestina?

Ormai non mi aspetto più nulla. Ad Asti ho ancora alcune persone molto care, ma più che altro ricordi di una rosea infanzia di provincia: sono legata a quel passato, ma il mio presente è ormai troppo distante da lei. Da quando a 17 anni sono tornata dagli Stati Uniti, non ho più trovato la mia collocazione e ormai non gliene faccio neanche più una colpa. Semplicemente ero piantata nel terreno sbagliato, e questo mi ha dato la spinta per cercare altro, per non accontentarmi, per non rischiare di ritrovarmi a 30 anni a pensare “In fondo non è poi così male”, senza sapere chi avrei potuto diventare fuori da quelle quattro strade tra le quali sono nata.

Scrittura, produzione e live, tre aspetti fondamentali della fase creativa a livello musicale. Quale tra questi preferisci?

Tre aspetti fondamentali e reciprocamente necessari per il mio mestiere. Ognuno è fuoco e benzina per gli altri due, la loro partizione e i loro cicli creano un equilibrio e delle fasi di rigenerazione ed espiazione che sono alla base della creatività. Sono tutte valvole di sfogo e serbatoi di accumulo differenti e ugualmente importanti.

“Appena sveglia” è stato il tuo primo tour d’esordio seguito da “Uscita D’emergenza”. Entrambi ti hanno permesso di girare per l’Italia intera, ti va di raccontarci di più di questa avventura?

Sono due tour quasi agli antipodi: “Appena Sveglia” è stato il mio primo in assoluto, la prima volta che mi ritrovavo a dover gestire un live interno con una band, nonché diverse date di fila. Mi sentivo in dovere di dimostrare di essere all’altezza e avvertivo una grande pressione. Un po’ perché per forza di cose dopo Sanremo si hanno erroneamente un certo tipo di aspettative, un po’ perché stavo prendendo io in primis le misure con me stessa e con un pubblico che era lì solo per me. “Uscita di emergenza” invece è stata una totale liberazione. Anziché in formazione classica siamo partiti in trio, con me che mi destreggiavo tra una tastiera e un synth posizionati sul palco a “V”, il mio batterista addetto anche a batteria elettronica e il mio chitarrista con cui ci alternava al basso all’occorrenza. Abbiamo riarrangiato tutti i brani cercando la loro matrice, siccome nel primo tour non li sentivo coerenti con la mia natura. Anziché l’ordine è emerso l’istinto, il mio lato emotivo, viscerale. Volevo solo stare bene con me stessa, con la mia fisicità e con le mie emozioni quando ero sul palco. Potevamo suonare anche davanti a delle sedie e ci saremmo divertiti lo stesso. In conclusione, se “Appena Sveglia” è stato provare a leggere e mettere in pratica il libretto di istruzioni, “Uscita di emergenza” è stata la presa di coscienza che forse il mobile voglio montarlo come piace a me, e non necessariamente come dev’essere fatto.

Infine qualche anticipazione: hai dei progetti per il futuro?

In queste settimane siamo in studio a lavorare sul secondo disco, nello specifico ci troviamo in fase di pre produzione, quella con maggiore libertà perché non sono ancora intervenuti i compromessi con le altre figure lavorative che sono parte del progetto: solo io e il mio produttore artistico a giocare per ore! Un sogno. Un faticoso sogno. Per il disco finito invece, mi sa che ci daremo appuntamento in autunno!

Erminia Lorito