Intervista ad Antonio Sansica, il fotografo con il cuore siciliano

Paesaggi tipicamente siciliani, ritratti umani realistici e senza tempo, storie di un’Italia un po nascosta. Ma anche ambientazioni notturne e scenari lontani, dal freddo Regno Unito al colorato e afoso Ghana. Tutto questo, e molto altro fa parte del variegato mondo artistico di Antonio Sansica, fotografo siciliano di 31 anni. Con una formazione nel Regno Unito, presso la London College of Communications, Antonio ha cominciato la sua carriera indirizzata verso la fotografia documentaria. Pur la sua giovane età, vanta già un curriculum di tutto rispetto con editori e aziende internazionali come acquirenti. Parecchio seguito pure sui social network quali  Tumblr e Instagramrecentemente lo abbiamo visto sulle pagine di D Repubblica con l’intento di farlo conoscere al grande pubblico. Noi di Social Up lo abbiamo intervistato per farci raccontare i suoi progetti, la sua visione dell’arte e i suoi gusti personali.

Da dove nasce l’ispirazione per la tua fotografia documentaria?
Da una ricerca personale, dalle domande che mi pongo, nel desiderio di esplorare e conoscere. La fotografia impone tanta ricerca, tempo per cercare le risposte alle tue domande e infine raccontarle.

Quali sono i soggetti che preferisci ritrarre?
Le persone, quindi le loro storie, e la vita ordinaria. Sono molto interessato a raccontare la vita comune, la contemporaneità, che definisce il nostro essere nei piccoli movimenti, e assolutamente determina il paesaggio dei nostri habitat. Faccio tutto ciò usando anche Instagram e quindi la cosiddetta MOBILE PHOTOGRAPHY, per ottenere quell’immediatezza che ritrovi solo nella fotografia INSTANT.

Quando hai scoperto la passione per la fotografia? Hai capito fin da subito che sarebbe diventata la tua professione?
No, tutt’altro, ho sempre voluto che rimanesse semplicemente un hobby e dedicarmi interamente al graphic design. Però sappiamo che sono due mondi che viaggiano benissimo insieme, anzi si fanno forza l’uno con l’altro. Detto ciò, Londra è stato il luogo dove ho sviluppato questa ossessione per la fotografia, credo per la sua intensità; Londra è una città viva, con mille ritratti, in continua metamorfosi.

Dai tuoi lavori artistici si nota il forte attaccamento alle origini siciliani. Quanto contano per te? E in che modo?
Credo sia difficile trovare un siciliano che non sia legato alla sua Sicilia, nonostante tutti i suoi difetti; chi dice di non esserlo, ancora non sa di essere profondamente legato. Tuttora, è un grande dilemma, c’è tantissimo da scoprire, non sai mai abbastanza della sua storia infinita. Questo legame è cresciuto soprattutto durante gli anni quando ho vissuto altrove, più mi allontanavo, più in realtà mi avvicinavo al mio ritorno. Chissà se ci sarà questo ritorno, forse mai, forse molto presto, la Sicilia comunque la vivo ogni giorno ed il mio progetto Inner Sicily, vuole proprio fotografare questo legame, questo momento.

La tua formazione è avvenuta per lo più nel Regno Unito. Che differenza hai trovato nel modo di approcciarsi alle arti creative rispetto all’Italia?
Consiglieresti agli aspiranti fotografi italiani di fare esperienza all’estero?
Difficile rispondere, e non credo ci sia una verità assoluta sulle due realtà, soprattutto perché ho principalmente vissuto a Londra, e ovviamente è una metropoli che non fa testo e non rappresenta poi l’intero Regno Unito. Credo comunque che io abbia trovato una maggiore sensibilità alla comunicazione visiva, soprattutto nell’ambito del design e della fotografia commerciale; e credo che tutto ciò si sia un po’ perso negli ultimi anni in Italia. Consiglio a chiunque di fare un’esperienza all’estero, a maggior ragione ai fotografi che devono viaggiare per arricchire le loro esperienze, e quindi coltivare la fotografia e la vita.

Come reputi il mondo della fotografia in Italia?
Il mondo della fotografia in Italia lo trovo vivo e vegeto, ci sono innumerevoli festival e spazi culturali, dove si vive la fotografia in tutte le sue sfumature. Vedo anche tantissimi autori e giovani fotografi che esplorano temi originali, e ben realizzati, oltre a diversi collettivi fotografici, come CESURA e TERRAPROJECT che hanno realizzato lavori eccezionali e impegnati. Purtroppo quando la fotografia è legata alla sua professione, noto delle enormi differenze e per certi versi non matura, non riceve il rispetto che degna di avere; ovviamente tutto questo paragonato all’esperienze vissute da me e altri colleghi a Londra. Tengo a precisare, infatti, che le differenze non si trovano nella fotografia in se, ma nella concezione di lavoro e nel modo di lavorare che si ha in Italia, e purtroppo ho riscontrato un sistema molto spesso superficiale.

Da dove provengono le tue maggiori infuenze? Hai dei fotografi come punti di riferimento?
Credo che la vita in se sia la più grande ispirazione che un fotografo possa avere, ovvio devi viverla intensamente, nel bene e nel male. La letteratura, il cinema, la storia, i viaggi sono elementi credo fondamentali per qualsiasi persona e a maggior ragione per un fotografo. Nel mio ultimo progetto Partisans: There was no time for fear, un progetto che intende sviluppare un immaginario sul periodo della resistenza nella città di Reggio Emilia; ho trovato innumerevoli influenze nella musica, nella storia e soprattutto nella memoria dei partigiani da me incontrati. Chiaramente ho dei fotografi da cui ho imparato e che mi hanno influenzato, ma questi fotografi mi hanno anche consigliato di non ammirare troppo il lavoro degli altri, anzi coltivare il proprio modo di vedere il mondo, un punto di vista proprio.

Alice Spoto