Ingrid Bergman, gli svolazzanti intermezzi di una romantica donna svedese

Davanti allo specchio del passato ogni ruga può diventare un’affascinante segno di vita vissuta intensamente. L’età non ha più alcuna importanza per le donne che riescono a invecchiare senza sordi rancori, né troppi rimorsi e restano ancora belle. Qualcuna di esse ritorna alle origini e con gli occhi della mente cerca ciò che il cuore suggerisce nel desiderio di ritrovare il luogo dove ha conservato l’intimità dei propri ricordi, il rifugio ideale della memoria:” Il Posto delle fragole”.

Un luogo metaforico raccontato, nel 1957, dal film omonimo del regista svedese Ingmar Bergman, dove una malinconica cornice di ricordi s’intona al quadro dolente della vita che sfugge nella concezione pessimistica del grande maestro dell’introspezione umana con il quale, nel 1978, lei recitò per l’ultima volta in “Sinfonia d’Autunno”. La magistrale interpretazione di Charlotte la madre egoista della sensibile Eva (Liv Ullman), le valse la sua settima nomination all’Oscar.

Ingrid Bergman visse la dimensione temporale di quel luogo di delizie nel 1980, quando aveva 65 anni, e già malata diede alle stampe il suo libro di memorie scritto assieme ad Alan Burgess.

Si legge dell’infanzia dolorosa e difficile d’una fanciulla timida e impacciata che si rifugia nella recitazione per “giocare ad essere ciò che non ero”, dove in un turbinio di vicende emerge la ricerca di un tal posto prima e di un personaggio dopo per catturare l’emozione dei ricordi che ballonzola tra passioni violente e ricordi brucianti per infine planare sul nido di casa in attesa di chi sa quale altra destinazione, come un Flygande flagen: Vuol dire uccello migratore in svedese. Non sta mai fermo, vola continuamente e non per piccoli voli: ma voli che portano da un continente all’altro. Non volevo essere solo un’attrice svedese, volevo conoscere il mondo, la gente e tante persone, io sono un Flygande flagen”.

Il primo volo dell’ancora sconosciuta promessa del cinema svedese avvenne nel 1939, quando David O Selznick, navigato produttore, sceneggiatore e abile scopritore di talenti, la mise sotto contratto incantato dal suo talento e dalla sua trasparente malia: ”un misto di bellezza eccitante e fresca purezza”, così la definì ammirandola nell’interpretazione del film” Intermezzo” del 1936, di cui comprò i diritti intenzionato a girarne una versione americana. Sperava in cuor suo di reinventare un’alternativa alla Garbo già in fase calante. Benché giovane, la Bergman, nata a Stoccolma nel 1915, era già una donna consapevole ed emancipata: dapprima stette sulle sue nel gioco delle parti di donna casta e pura celebrato nel remake di quel film girato in seguito assieme al probo Leslie Howard, ma poi capì il rischio di essere etichettata per sempre come una donna dall’assoluta moralità più madre che amante. Ben presto cambiò le carte in tavola e con una mossa astuta sul set di: ”Dr Jekyll e Mr Hyde” convinse in primis la produzione e poi Lana Turner a cambiare di ruolo: quest’ultima avrebbe interpretato la parte di Beatrix, la dolce tenera e trepidante signorina appartenente alla crème della società fidanzata con lo stimato pur eccentrico dottore Enrico Jekyll e lei sarebbe stata Eva Peterson la bella e sensuale prostituta che finisce tra le grinfie del bruto mister Hyde. Grazie anche allo straordinario Spencer Tracy il film nel 1941 ebbe un buon successo e il gioco a due: la bionda e la bruna che ribaltano gli stereotipi così cari allo star system hollywoodiano, giovò ad entrambe le attrici.

A dispetto di un’apparenza algida e fragile che rifletteva la fierezza venata dall’alterigia regale del suo carattere, Ingrid sul set si mostrò volitiva e determinata. Cominciò così la carriera di una diva che esibiva orgogliosamente il suo essere imperfetta e per questo capace di passare dal rigore nordico di certi toni drammatici, alle intense e passionali melanconie romantiche disegnando anche eleganti sfumature di donne in situazioni a prima vista disinvolte.

In parallelo ad una vita privata altrettanto movimentata nel pieno della giovinezza si stabilì negli States col marito e la figlioletta. Ormai pervasa dalla smania del successo clamoroso la Bergman lo trovò nel 1942, quasi per caso in un film a basso costo nato e prodotto solo per lucro ”Casablanca”, nel quale tra i languidi contorni di un’atmosfera caliginosa, spiccano le delicate linee del suo profilo a sottolineare il finale drammatico e inevitabile dell’addio al suo amore: l’impareggiabile Humphrey Bogart. La loro strepitosa interpretazione  esaltata dalla magia d’un refrain incancellabile decretò il successo di uno dei film più acclamati di ogni tempo. Donna colta e raffinata dalle pregiate frequentazioni, non a caso fu scelta l’anno dopo per la parte di Maria, la partigiana nella guerra civile spagnola al fianco di Gary Cooper in ”Per chi suona la Campana”, tratto dal romanzo dell’amico Ernest Hemingway. Un altro capolavoro che consacrò le indubbie qualità artistiche e fece risplendere la radiosa immagine del “più illustre regalo della Svezia a Hollywood” con una nomination all’Oscar. L’anno dopo nel 1945, grazie alla stupenda interpretazione della moglie di Charles Boyer alle soglie della pazzia in “Angoscia”, Ingrid Bergman vinse la sua prima statuetta.

Ormai in simbiosi col ruolo, nascondendo dietro il suo volto angelico l’ambigua e seducente maschera del mistero e dell’avventura, attirò l’attenzione dell’indiscusso maestro di queste doppiezze, Alfred Hitchcock che la pretese come protagonista di tre dei suoi film: il quasi surreale “Io ti Salverò” con l’amnesico e nevrotico Gregory Peck; “ Notorius”, l’amante perduta”, dove scambia con l’irresistibile Cary Grant il bacio più lungo e famoso della storia del cinema e “Il peccato di Lady Considine” un melodramma romantico più che un thriller che nel 1949, costò una fortuna al suo produttore regista e non intaccò la sua figura, anzi. Perciò brava e bella più che mai, d’una bellezza che si apriva come un fiore, in cerca di nuove sperimentazioni dopo aver visto Roma città aperta e Paisà, fu colta da una folgorazione per il suo regista l’italiano Roberto Rossellini e gli scrisse una lettera proponendosi per lavorare con lui. E per lui Ingrid perse la testa, la famiglia e buona parte del favore dell’opinione pubblica americana passando quell’intermezzo di vita tra santità e adulterio al bando. Girarono assieme:” Stromboli”, da un soggetto neorealista destinato sulle prime ad Anna Magnani, dopodiché si sposarono, ebbero tre figli e continuarono la collaborazione artistica con altri film quali: “Europa 51”, “Viaggio in Italia” e “Giovanna d’Arco al rogo”. Una rivisitazione del film che anni prima affascinata dal leggendario alone mistico del personaggio, la Bergman stessa aveva prodotto.

Riabilitata da una diversa condizione sociale novella come il figliuol prodigo, ritornò in America a metà degli anni 50 convocata dalla Fox e con la verosimile interpretazione di “Anastasia” del 1957, gustò il trionfo del suo secondo Oscar. Seguiranno, nel pieno della sua maturità pacata e intensa, un altro marito e altri personaggi nei quali il suo fascino riflessivo, suadente e penetrante risultò ancora decisivo. Con un certo non so che di classe e stile in ”Indiscreto”, smaschera le omissioni dell’eterno giovanotto Cary Grant; stoica difende i bambini cinesi ne “La locanda della sesta felicità” e per amore del finto fatuo Yves Montand resiste al fervore giovanile di Anthony Perkins in “Le piace Brahms?”. Dopo un’apparizione in “Una Rolls- Royce gialla”, deliziosa e ironica con Walter Matthau, ribatte alla sgusciante femminilità di Goldie Hawn in” Fiore di cactus”. Vincerà ancora un Oscar nel 1975 come attrice non protagonista per “Assassinio sull’Orient Express”, e poi sarà una sfiorita contessa che introduce, con la sua esperienza, la giovane” Nina” alla vita. Il suo viaggio cinematografico finì col ritorno in Svezia alla corte dell’omonimo maestro. Poi Ingrid Bergman migrò per l’ultima volta a Londra dove il 29 agosto del 1982, nel giorno del suo compleanno chiuse le ali: un intermezzo di vita durato sessantasette anni, buona parte dei quali hanno rispecchiato le sue qualità nell’arte che realizza i sogni: Il Cinema.

Vincenzo Filippo Bumbica