In caso di crisi rompere il vetro

Frustrazione, disillusione, sfiducia, rassegnazione sono i sintomi della malattia di cui siamo affetti: la crisi. Oggi non si sente parlare d’altro. Cinque lettere che da sei anni condizionano la nostra vita; la parola che più di frequente ricorre nei nostri discorsi, che ormai fa paura come ‘Giuda’, ‘morte’, ‘cancro’, ‘fosfofruttochinasi’. Ma chi la teme questa crisi di cui tutti parlano?L’avete vista voi la crisi? Non è qualcosa di tangibile come una penna che scrive o una pedata nel culo. E’ come il vento: esiste, si percepisce, ma non tutti sembra la vogliano vedere. È un male trasversale che non guarda in faccia nessuno; non risparmia l’imprenditore sul baratro del fallimento, il precario costretto a vivere nel limbo, il giovane che studia consapevole che dovrà fuggire se vorrà un futuro migliore, l’anziano signore che rovista nella spazzatura per poter mangiare o il lavoratore-mulo che non vedrà mai i frutti dei propri sacrifici. Crisi. Tutti la reputano al pari di un’immensa montagna di merda, un Everest fatto di batteri e fibre vegetali che nessuno vuole scalare. È una malattia che conta 439 vittime e il numero non la smette di aumentare; a numerarli è stata la Link University di Roma, che dal 2012 ogni anno documenta lo stato dei suicidi a causa della crisi economica- nel 2014 sono stati 201, nel 2013 erano in 149, nel 2012 se ne contavano 89. 439 persone uccise dalla crisi e seppellite dall’indifferenza dalle istituzioni. Ma allora che cos’è questa cazzo di crisi di cui tutti parlano? Se ne sente la puzza, ma dove sta questa maledetta montagna? La crisi vive nella storia dell’italiano qualunque; quello che se ne frega della fiducia dei mercati, che non crede alle parole di Draghi e non applaude ai discorsi di Renzi; nella storia di un uomo di 47 anni di Pavia, che una notte, dopo aver chiuso i conti del suo negozio di rubinetteria, si spara; di un sessantenne trovato impiccato ad un montacarichi; di una vedova suicida per una cartella esattoriale di 60mila euro; di un giovane di 26 anni della periferia di Milano, che si è arreso pronunciando queste ultime parole: “Mi vergogno di fare questa vita. Non ho neppure i soldi per le sigarette”. Il dramma è longitudinale, non ha connotati geografici, colpisce il nord come il sud, l’unica amara novità è che colpisce sempre di più i giovani tra i 35 e i 45 anni. Ma non c’è qualche rimedio? Non esiste qualcosa che possa porvi fine, come i cerotti per una ferita e gli estintori per un incendio? La risposta sembra essere no. Tutto questo solo per il vile denaro? No, non è solo una questione di soldi, è il fallimento di una vita, è la perdita di speranza, di non poter immaginare altra soluzione se non quella di sparare un colpo alla tempia. È il fallimento di una società che non vede futuro, senza punti di riferimento ed appigli a cui aggrapparsi. È un Paese che si è suicidato gettando i suoi cittadini dalla finestra. ‘In caso di crisi, rompere il vetro’. Ma è possibile sia davvero l’unico rimedio?

-Claudia Ruiz e Andrea Colore

redazione