Henry Fonda, un attore versatile dallo sguardo impenetrabile

Portava sullo schermo con gran naturalezza, l’immagine che a prima vista lo caratterizzava di più: quella dell’uomo onesto. Dalla cima dei capelli alla punta delle scarpe non c’era nulla del suo aspetto e del suo comportamento, che potesse intaccare questo modo d’essere. Eppure il suo volto affascinante faceva presagire sconvenienti diversità, poiché seppe anche interpretare con grande maestria la cattiveria umana in tutte le sue molteplici e sottili sfaccettature.

A volte appariva come un romantico uomo d’altri tempi che portava addosso con disinvoltura la soave caratteristica d’assecondare assieme ai suoi, anche i moti dell’anima delle varie partner e allo stesso tempo pragmatico, era capace d’imprimere un insospettato vigore a questi suoi personaggi: a suo agio nei panni dell’uomo di comando che per non perdere la propria integrità sacrifica anche gli affetti, ma che tra le varie responsabilità riesce a distinguersi per i suoi insospettabili slanci di rara e vera umanità.

Una lunga sequela di personaggi tratteggiati con tali caratteristiche sono foto di un album che racchiude la carriera durata quasi mezzo secolo di uno degli attori più significativi del cinema a rappresentare l’altra faccia del sogno americano.

Ma la storia di un patriarca quale egli era, considerando anche i suoi cinque matrimoni che in alcuni dei figli (Jane e Peter) e dei nipoti (Bridget Fonda e Troy Garity) lasciano come eredità i geni della passione, diventa una lunga ricerca cronologica di immagini a cominciare da quelle ingiallite degli inizi del ventesimo secolo.

Nebraska, Grand Island 1905, Henry Jaynes Fonda, emette i primi vagiti nella casa di un’agiata famiglia di origini italo irlandese. Passano trenta anni e dopo aver lasciato gli studi di giornalismo a causa della sua passione per la recitazione, quel giovane dal volto gentile e dall’espressione cangiante muove i primi passi nel mondo dello spettacolo con il conseguente debutto a Broadway. Succede poi che nello stesso ruolo della stessa commedia qui rappresentata, egli appaia per la prima volta sul grande schermo nel film: ”Il contadino prende moglie”. Replica subito dopo con un ruolo passionale nel melodramma: ”Cuori incatenati”. Da qui in una ridda di personaggi si rafforza le ossa nel mestiere e s’impone con la sua gradevole figura diventando degno partner di affascinanti attrici, prima fra tutte Margaret Sullavan, sua ex moglie, assieme a cui interpreta: ”Nel mondo della luna”. Ma è la carismatica Bette Davis l’attrice alla quale cinematograficamente si sposa meglio. Insieme girano “Vivo per il mio amore” e il successivo “La figlia del vento”, premio Oscar assegnato nel 1938 all’ambiziosa diva nascente, ne é evidente riprova.

I meriti del giovane Henry però non passano inosservati e la successiva interpretazione di uno dei fratelli componenti la banda in ”Jess il bandito” è il prologo dell’imminente successo. Infatti nel 1940 con la regia di John Ford gira ”Furore”: la convincente parte del colono che perde tutto ma non la speranza, gli spalanca nuovi orizzonti. Metodico e riflessivo continua sistematicamente a sfornare un film dopo l’altro, alcuni riusciti altri meno, ma tutti contraddistinti da un’unica matrice: la seria applicazione che poi si traduce in un evidente senso del professionismo e prima che la seconda guerra mondiale inquini la sfavillante atmosfera della Mecca del cinema, sforacchia lo schermo con una sventagliata di titoli.

Nell’immediato dopoguerra sempre diretto dal prolifico e geniale Ford, sfodera una sua personale caratterizzazione dello sceriffo Waytt Earp in “Sfida infernale” e i due si ripetono nel capolavoro ”Il massacro di Fort Apache” del 1948 dove spadroneggia anche il principale alter ego del regista: John Wayne.

La straordinaria normalità di gestire ruoli così diversi tra loro é forse la chiave principale dei suoi successi che anche negli anni a seguire continuano con una cadenza impressionante: regolari, solidi, inappuntabili. Arrivano, i trionfi internazionali con il kolossal “Guerra e pace”, la stupefacente interpretazione di una quotidianità compromessa nel “Il ladro” di Alfred Hitchcock e la consistente modernità dell’evoluto cittadino di” La parola ai giurati”. Nel 1958 chiude in bellezza quel fattivo decennio disegnando il superbo profilo di un implacabile pistolero professionista in combutta con Il fosco Anthony Quinn, ne “Ultima notte a Warlock”. Qui accentua la sua caratteristica postura e con la sua inimitabile andatura felina rende mitica la figura dell’avventuriero che, in una società senza regole, impone la sua legge a colpi di pistola

Il mondo comincia a girare sempre più forte sotto la spinta dei frenetici anni 60 ed Henry che della compostezza ha fatto uno stile di vita riesce lo stesso a mantenere un suo equilibrio. Prima si spende nei panni di Jetrho Stuart il trapper libero e selvaggio de “La conquista del West”: un monumentale affresco sull’epopea della nuova frontiera; dopo si adegua al tenue tono della commedia leggera incastrandosi per bene tra Tony Curtis e Natalie Wood in “Donne vi insegno come si seduce un uomo”; poi esprime mirabilmente la fermezza gerarchica su soggetti a sfondo bellico con “Prima vittoria” seguita da “La battaglia dei giganti”; e infine ritorna al western, il suo amore di sempre, con” Posta grossa a Dodge City”. Continua imperterrito nel suo vagabondaggio tra le varie umanità: onesto operaio, buon padre di famiglia, tenero vedovo con numerosa prole, compenetrato militare di alto grado, risoluto capo della polizia, efficiente viceprocuratore distrettuale, politico idealista ma perdente, disinvolto presidente USA che in particolari circostanze mantiene il suo aplomb.

Ha superato da un poco i sessanta anni e il suo apparire sul set di ”C’era una volta il West” provoca qualche perplessità. Ma è questione di un attimo: entrato nella roulotte ne esce un altro uomo a ribadire ancora una volta la sua personale capacità d’addentrarsi nel personaggio. Il mitico Frank non è solo il cattivo di turno, ma esprime tutti i retroscena del male: paradossalmente mette in risalto la purezza della malvagità.

Nascosta abilmente sotto l’ala della benevolenza di un direttore del carcere progressista che diventa cupidigia e sfrutta quella del magnifico gaglioffo Kirk Douglas in “Uomini e cobra”. Agganciata all’egoismo di un padre intransigente anima una famiglia di boscaioli in ”Sfida senza paura”, contagiando i figli tra i quali il bizzoso Paul Newman, nel disagio della dolce nuora Lee Remick.

Nel 1971 Henry Fonda affida al piglio di questo capostipite ancora un’immagine rutilante che diventa due anni dopo crepuscolare e celebrale nell’atipico western “Il mio nome è nessuno”. Per otto anni altre foto più sfumate si posano come foglie al vento su quell’album di ricordi e si sovrappongono l’un l’altra per arrivare all’ultima pagina in cui egli appare dolcemente adagiato sulle onde increspate della vecchiaia. Assieme a Katharine Hepburn e alla figlia Jane, interpreta una poetica trama generazionale: “Sul lago dorato” del 1981, dove galleggia specchiandosi sull’Oscar la sua ultima istantanea cinematografica. Solo un anno e quella umana sarebbe stata posta su una lapide.

Vincenzo Filippo Bumbica