Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare

Il cibo rappresenta una risorsa indispensabile per il nostro sostentamento. Maslow nella sua piramide dei bisogni ha posizionato il nutrirsi alla base, identificandolo come un bisogno fisiologico tra i bisogni primari. Ma come accade per molte altre risorse anche il cibo vede un gap enorme tra chi ne ha in abbondanza e chi continua a soffrire di fame. Il 5 febbraio si celebra la giornata di prevenzione dello spreco alimentare in Italia, giornata istituita nel 2013 dal Ministero dell’Ambiente e mira, come dice il nome, a prevenire lo spreco alimentare.

Gran parte del fabbisogno idrico mondiale è legato alla produzione di cibo, pertanto quando si parla di spreco alimentare è importante comprendere che la questione non riguarda soltanto il cibo, ma anche  tutto ciò che viene impiegato in questa catena di produzione. Si parla, quindi,  di acqua, come di suolo, ma anche di combustibili fossili e fonti energetiche. Provocando di conseguenza un forte impatto sulla biodiversità e sul clima. È stato , infatti, stimato che gli sprechi alimentari nel mondo sono la causa dell’emissione di circa 3,3 miliardi di tonnellate di C02 . Per avere un quadro chiaro dell’effettiva quantità è sufficiente prendere come esempio la Cina, una delle potenze più inquinanti al mondo: l’emissione di CO2 dovuto allo spreco alimentare mondiale va a posizionarsi soltanto due gradini più in basso rispetto la quantità complessiva delle emissioni di CO2 dichiarate dalla Cina.

Dal 1974 ad oggi lo spreco alimentare nel mondo è aumentato del 50%, ma solo di recente, a causa della crisi economica globale,  la questione viene presa seriamente in considerazione e trattata come il problema quale è.

Il 40% del cibo prodotto negli Stati Uniti finisce nelle discariche. In Gran Bretagna vengono gettate nei rifiuti 6,7 milioni di tonnellate di cibo perfettamente consumabile, per un costo annuo di 10 miliardi di sterline. In Svezia, mediamente, ogni famiglia getta via il 25% del cibo acquistato.

Secondo l’analisi realizzata dalla FAO gli sprechi alimentari nel mondo ammontano a 1,3 miliardi di tonnellate l’anno, pari a circa una terzo della produzione totale. Infatti  su 3,9 miliardi di tonnellate di cibo prodotte nel mondo annualmente 1,3 miliardi sono destinate alla spazzatura.

Ma lo spreco alimentare non riguarda soltanto il cibo inutilizzato nelle cucine, in una più vasta visione è possibile distinguere le perdite di cibo come:

–          Food losses : in riferimento alle perdite che si determinano a monte della filiera agroalimentare durante la coltivazione o l’allevamento, la raccolta ed il trattamento delle materie prime.

–          Food waste : in riferimento agli sprechi che si hanno durante la trasformazione industriale, distribuzione e produzione in eccedenza ( prodotti invenduti).

–          Sprechi domestici : alimenti acquistati che non finiscono sulla tavola dei consumatori perché lasciati a marcire in frigo o in dispensa.

È stato stimato che in Italia  vengono emessi circa 24,5 milioni di tonnellate di biossido di carbonio per produrre beni alimentari destinati alla discarica. Il 20% di questi gas serra è legato al settore dei trasporti. Nel mondo il dispendio idrico corrisponde a circa 250 km cubici di acqua. Che in parole povere sarebbe l’equivalente del prosciugare le acque del lago di Ginevra.

È difficile stimare l’impatto degli sprechi alimentari sulla biodiversità a livello mondiale. Risulta, però, più semplice analizzare gli effetti negativi dell’espansione agricola e delle coltivazioni estensive: l’espansione agricola vedrà una frammentazione degli habitat con una forte perdita di biodiversità. Per non parlare dell’impatto catastrofico legato agli allevamenti di bestiame.

L ‘agricoltura intensiva, che non consente periodi di riposo per i campi, diminuisce la fertilità dei terreni e di conseguenza induce ad un maggior utilizzo dei fertilizzanti chimici che a loro volta creano inquinamento e riducono la quantità dei terreni coltivabili.  Il direttore generale della Fao, Josè Graziano de Silva, sostiene che in media ogni anno si utilizzano 1,4 milioni di ettari per produrre alimenti che poi andranno sprecati, una superficie pari all’intero territorio della Federazione Russa e al 28% del suolo agricolo mondiale. Ma il danno è molto più esteso, ogni anno 9,7 milioni di ettari di bosco vengono distrutti per produrre beni alimentari che spesso finiscono nelle discariche.

La perdita di acqua, terra e biodiversità rappresenta un costo per l’intera società non ancora quantificato.

Il diretto costo economico della spreco alimentare dei prodotti agricoli viene valutato sui 750 miliardi di dollari, una cifra equivalente al Pil della Svizzera e per diretto costo si intende che dal calcolo dei costi  vengono esclusi tutti quelli indiretti come lo smaltimento degli stessi rifiuti alimentari, i danni causati dai cambiamenti climatici e la cattiva gestione delle terre che può portare ad un successivo dissesto idrogeologico. Insomma tutti costi che spesso non vengono presi in considerazione, ma che effettivamente sono sostenuti.

La politica non è rimasta indifferente a questa situazione di empasse: dal 14 settembre dello scorso anno è entrata in vigore una legge contro gli sprechi alimentari, approvata il 2 agosto in Senato. Un cammino iniziato, ormai, qualche anno fa,conclusosi con un testo che chiarisce e semplifica le modalità con le quali è possibile donare le eccedenze alimentari. Attraverso questa legge l’Italia si propone di dimezzare gli sprechi alimentari in dieci anni, superando i target definiti dall’Unione Europea per il 2020.

Ma al momento i dati rimangono allarmanti : la Coldiretti ha stimato che dei 12,5 miliardi di cibo che viene sprecato ogni anno, il 54% è legato al consumo domestico, il 21% al settore della ristorazione, il 15% nella GDO e l’8% nel settore agricolo. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Osservatorio nazionale Waste Watcher di Last Minute Market/Swg lo spreco di cibo nelle case italiane ammonta a circa 145 kg l’anno per famiglia, per un costo di 360 euro annui. Inoltre solo 6 italiani su 10 sono al corrente dell’esistenza della nuova legge sullo spreco, promossa dal Ministero dell’Ambiente nell’ambito della campagna ‘Spreco zero’, e il 90 % degli intervistati non conosce i contenuti di tale legge.

Tra gli interventi più importanti della legge contro gli sprechi c’è la sburocratizzazione e lo snellimento delle procedure per chi vuole donare. Infatti i locali che vorranno consegnare cibo ad una Onlus non saranno più obbligati a doverlo comunicare in anticipo, ma potranno presentare una dichiarazione consuntiva a fine mese.  La legge apre inoltre ai Comuni la possibilità di prevedere sconti sulla tassa rifiuti per chi, invece di gettar via il cibo invenduto lo donerà.

I prossimi 3 e 4  marzo a Cremona saranno presenti le rappresentanze di oltre 30 Paesi del mondo per il convegno Sprechi alimentari: fattori contaminanti, incidenza sulla mortalità e gestione del rischio ’.

È evidente, quindi, che non si tratta più soltanto di una questione etica. Il danno causato dallo spreco di cibo coinvolge tanto il campo ambientale quanto quello economico. Un circolo vizioso che, se non verrà fermato quanto prima, porterà inevitabilmente a danni peggiori ed irreparabili. In questo contesto sembrano perfette le parole dell’astrofisico Hubert Reevesl’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una natura visibile. Senza rendersi conto che la natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”.

Su  questa terra l’uomo  è un ospite e da tale dovrebbe rispettare e curare quella che sarà la casa delle future generazioni. Il punto focale è sempre lo stesso: ognuno di noi può fare la differenza. Magari comprando a chilometro zero per evitare l’inquinamento dei trasporti o limitando il più possibile gli spechi di cibo donando l’inutilizzato o portando a casa nelle famose “family bag” il cibo avanzato nei ristoranti. Uno sforzo minimo a costo zero.

Francesca Valentina Troiano