Generazione Millennial: “Usiamo la sharing economy e mangiamo bio”

Indipendenti ma iper-connessi, cinici ma idealisti, individualisti ma consapevoli delle responsabilità collettive. Sono i Millennial, una generazione globale nata tra gli anni ’80 e i 2000. “Si tratta di una generazione con caratteristiche comuni a livello mondiale. Possono esserci differenze di comportamento da Paese a Paese, ma l’approccio alla vita è uguale”, spiega Federico Capeci, autore di Generazione 2.0. Chi sono, cosa vogliono, come dialogare con loro (FrancoAngeli). «Per “generazione” si intende una categoria di persone che partecipa a un evento sociale dirompente. Qui l’evento è l’arrivo del web 2.0. Chi è cresciuto negli anni della diffusione dei social network e dei blog ha imparato a vivere le relazioni con gli altri in maniera più collaborativa e condivisa». Ma non è tutto. «Ogni adolescente ha bisogno, per trovare se stesso, di sperimentarsi in vari ambiti: con il web è molto più facile farlo, mettersi alla prova. Questo rende i Millennial più sicuri della propria identità, meno bisognosi dell’approvazione altrui», conclude Capeci.

Con internet guardano film, con internet conoscono nuove persone e con internet viaggiano. Tuttavia l’autonomia e la flessibilità che il mondo globale gli impone sono diventati per loro valori imprescindibili, più che crearsi una famiglia, che avere delle sicurezze sul lavoro. Se l’individualismo è il tratto più comune di quella che sembra assomigliare a una non-generazione, il paradosso è che nessuno è mai stato più connesso dei Millennial. Il loro habitat naturale è digitale. O meglio, per loro la distinzione tra vita on- e offline non esiste: trascorrono il 70% del tempo online. Questo significa accesso ad una comunità senza frontiere così come la formazione di una coscienza globale: connessi istantaneamente ed esposti virtualmente ad ogni luogo e questione attraverso social network e notizie in tempo reale, sono più consapevoli delle sfide collettive delle generazioni precedenti – dal cambiamento climatico all’eguaglianza di diritti. Ma, di norma, i Millennial sono meno patriottici, non hanno forte affiliazione partitica e non partecipano attivamente alla vita politica o alle realtà locali. Sono dei riformatori non dei rivoluzionari. Forse per questo i 18-35enni hanno la propensione ad autoritrarsi in modo negativo: “sprecone” e “avido” sono tra gli aggettivi più condivisi per descrivere la propria categoria. Dunque, essere connessi non vuol dire necessariamente appartenere e la maggiore consapevolezza non sfocia automaticamente in azioni e presa di responsabilità. Hanno attraversato in pieno il cambiamento tecnologico e sono stati investiti dalla rivoluzione digitale, diventandone i primi protagonisti. I millennial appartengono a quella generazione che oggi cerca lavoro tramite internet, che prenota un volo con lo smartphone e che sposta denaro con una app. E sono stati i primi a farlo, prima dei cosiddetti nativi digitali, nati negli anni in cui la rivoluzione digitale era ormai compiuta.

In Italia i ragazzi che hanno tra i 20 e i 24 anni, secondo i dati Eurostat, costituiscono  il 2,5% della popolazione, mentre quelli che hanno tra i 25 e i 29 rappresentano il 2,7%. In Europa, secondo i dati del Pew research center, i millennial rappresentano il 24% dell’intera popolazione dei 28 Stati membri. Il numero più alto è in Germania: 14 milioni; quello più basso in Grecia: 2 milioni. In Italia invece i ragazzi tra i 20 e i 29 anni, dati Istat aggiornati al 2015, sono oltre 6milioni. Per la precisione 6.365.047.

Il problema (o no) è che hanno in mano le sorti del mondo, speriamo solo che (nostra) l’indefinitezza e l’indipendenza siano un punto di forza e non di debolezza come uomini illustri da sempre sostengono.

Claudia Ruiz