Essere donna in Islanda

Un paese elogiato per la sua apertura e tolleranza tanto da meritarsi il primo posto, per il sesto anno consecutivo, come Stato leader nelle politiche volte a contrastare la disparità di genere. Il rapporto è stato stilato dal World Economic Forum e l’isola femminista è l’Islanda.

Carte alla mano, se leggiamo il rapporto del World Economic Forum tra i vari indicatori presi in considerazione spiccano quelli relativi all’istruzione secondaria e terziaria, all’emancipazione politica nonché alle opportunità professionali ed economiche. In tutte e tre le categorie l’Islanda ha fatto centro, riportando valori minimi nel gap di genere: la proporzione tra donne e uomini negli atenei islandesi è di 1:1; nella scuola primaria e secondaria, la presenza femminile è leggermente superiore rispetto a quella maschile; quanto al Parlamento ci sono circa due donne ogni tre uomini.

Hildur Lilliendahl Viggósdóttir, attivista per le donne in Islanda

Sembra proprio che siamo in presenza di un vero e proprio paradiso delle donne. La Costituzione islandese ha garantito loro il diritto di voto già nel 1915, ben cinque anni prima rispetto agli Stati Uniti; inoltre, è stato il primo paese nella storia a riconoscere la parità tra uomo e donna nei diritti di successione, a partire dal 1850. E sul piano economico? Nell’ottobre del 1975, 25 mila persone di ogni estrazione sociale si riversarono nelle strade della capitale Reykjavik, per protestare contro l’ineguaglianza del salario: il 90% della popolazione femminile prese parte alla manifestazione, lasciando la controparte maschile a districarsi tra la gestione del lavoro e quella dei figli. Il risultato? Neanche a dirlo, fu un successo! L’anno seguente, il Parlamento approvò con successo una legge sull’equo compenso a favore delle donne lavoratrici.
Cinque anni dopo, fu il turno della politica: nel 1980 venne eletta presidente Vigdìs Finnbogadòttir, primo capo di stato donna nella storia non solo dell’Islanda ma d’Europa; madre single con un passato lavorativo variegato, ha guidato il paese per tre mandati consecutivi, fino al 1996. Ma l’avanguardia islandese non finisce qui, nel 2009 la socialdemocratica Jòhanna Sigurdardòttir, divenne, a livello mondiale, la prima donna apertamente omosessuale a essere eletta capo di stato e di governo.

Foto di Annie Ling (internazionale.it)

Ricapitolando? Le nostre amazzoni islandesi hanno chiesto a gran voce l’uguaglianza del salario e l’hanno ottenuta; hanno lottato per una rappresentanza paritaria nelle istituzioni ed hanno rivestito le più alte cariche dello Stato; hanno manifestato per ottenere il diritto ad essere al tempo stesso madri e lavoratrici, ed hanno ottenuto che lo Stato gli concede 5 mesi di congedo parentale (per ciascun genitore) e gli paga il 95% della retta degli asili.

Italiane indignatevi!! Purtroppo l’Italia si piazza al 69° posto nel report del World Economic Forum e sembra che l’unica rappresentanza che possiamo permetterci è una Miss Italia dalle dubbie capacità intellettive.

Ma in Islanda è tutto oro quello che luccica? Se guardiamo oltre il mondo perfetto che ci hanno dipinto vediamo che nel corso degli ultimi anni sono aumentate le denunce di abusi sessuali; anche se sono state approvate nuove leggi contro la violenza di genere, il sistema è stato molto lento a rispondere.

Certo qui si può aprire un dibattito infinito tra chi è convinto che il femminismo, come in Islanda, sia la soluzione a tutti i problemi e quelle donne che si rifiutano di appoggiare questa tesi. Fatto sta che se si chiede alle islandesi quale sia l’aspetto migliore della vita delle donne nel loro paese, la risposta più frequente ha sempre a che fare con una parola: libertà. “Possiamo fare quello che vogliamo: imparare a pilotare un aereo, diventare poliziotte o qualsiasi altra cosa”. Tuttavia, forse la cosa più triste é che ci sia bisogno del femminismo per ottenere tutto questo.

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Claudia Ruiz