Dawn Fraser e l’impossibilità di essere normale

Possedeva un senso del doppio particolare e dunque si poteva celebrare e al contempo criticare. Dotata di un talento più trasparente dell’acqua in cui si tuffava, quel 27 ottobre 1962, fu capace di nuotare i 100 metri stile libero nel tempo di 59’99. Prima donna al mondo a scendere sotto il limite del minuto su quella distanza. Un muro che sembra invalicabile per quei tempi, venne abbattuto da quella sirena che abbassò il sipario sulla bella époque del nuoto aprendo all’intero movimento una finestra sul futuro: da quel giorno  in piscina la musica cambiò rapidamente e si passò dal languido valzer al frenetico rock.


Era però anche una donna esuberante, bizzarra e trasgressiva, protagonista al di fuori della vasca di una vita patinata poiché amante della fugace piacevolezza di certi rapporti: faceva strage di cuori pur non essendo particolarmente attraente, era solita frequentare affollati pub a bere birra con annessa qualche sbronza e così assumeva atteggiamenti troppo disinvolti per una campionessa affermata come lei che non avrebbe mai dovuto accettare il dissacrante paradigma di quel delizioso dandy che era Oscar Wilde, secondo il quale il miglior modo di resistere a una tentazione è quello di cedervi. . Questo essere sempre sé stessa: sincera nei difetti e compatta nelle virtù pronta però a sfidare le rigide convenzioni sociali, ne fecero un personaggio discusso e discutibile che però metteva tutti d’accordo quando si staccava dal blocco di partenza ed entrava in acqua.

Dawn Loraine Fraser, questo era il nome di quel prodigio sportivo della natura. In corsia accelerava con armonia i ritmi delle sue poderose bracciate aggirando la resistenza della massa liquida per scivolare via sinuosa e nel mentre sollevava piccoli sbuffi di spuma con la tambureggiante battuta dei piedi. Da questa ininterrotta cadenza di scrosci le vittorie arrivavano naturali e con esse tante volte primati da lei stessa stabiliti, abbattuti e qualche volta sbriciolati.

Decisa come il profilo del suo naso aquilino, intensa come l’azzurro degli occhi e gioviale come il disegno del suo sorriso, quella scapestrata ragazza, nata nei sobborghi di Sidney nel 1937, era cresciuta con una ribelle visione della vita. Cominciò sin da piccola a dimostrare un così forte temperamento che praticò quasi con naturalezza calcio e rugby, e quando fu catapultata in piscina all’età di 14 anni per scaricare l’eccessiva esuberanza, in acqua trovò d’incanto il suo elemento naturale.

Superata la difficile convivenza tra la spartana disciplina sportiva e l’anarchia del carattere, quella prorompente ragazza, non appena sciorinò le sue ineguagliabili qualità, diventò la regina della specialità relegando le altre al ruolo di cortigiane.


Dal 1956 Olimpiadi di Melbourne, passando per quelle di Roma 1960 e terminando con i Giochi Olimpici di Tokio 1964, l’ondina australiana vinse l’oro nella sua gara preferita: i 100 stile libero. Tre trionfi consecutivi corredati da un altro oro e quattro argenti, sempre nell’ambito delle medesime competizioni vinti partecipando alle staffette. Dopo avere battuto nel 1962 quel limite sacro, che durerà per ben otto anni fu anche protagonista di altre vittorie e record meno importanti ma altamente significativi: dalla staffetta alla doppia distanza passando per altre specialità come lo stile a farfalla, in tante altre manifestazioni parallele si dimostrò più che competitiva
. Chissà di cosa sarebbe stata capace se non fosse incorsa, per il suo insopprimibile modo d’essere, in una lunga squalifica di dieci anni comminatole dopo Tokio 1964, che di fatto le recise la carriera dopo tredici anni di attività ufficiale e successi incontrastati, per lo scandalo scoppiato a causa dei suoi atteggiamenti sconci seguiti da peccaminose esibizioni. Singolare e buffa coincidenza: durante le Olimpiadi Romane era stata proprio lei a porre l’attenzione degli organi di controllo su alcune atlete australiane che dalle finestre nelle loro camere del villaggio olimpico, sapendosi spiate  da uomini col binocolo, inscenavano veri e propri striptease. 

A conferma della sua irrequietezza incappò anni dopo, nel 1971, in una delle sue tante contraddizioni: l’accusa di stupro subito da parte di un marinaio polacco che invece si risolse inopinatamente con una sua condanna.

Nonostante questo rovinoso boomerang, fu insignita l’anno dopo del titolo ”La più grande atleta d’Australia” per il prestigio dei suoi risultati che la confermavano più che un idolo per la sua gente e più che un simbolo per lo sport mondiale a cui ha lasciato la sua indelebile impronta di fuoriclasse: un’immagine storica a significare un primo timido segnale di cambiamento che trascinato dalla categoria delle elette cominciò il suo lento ma sicuro cammino verso il traguardo finale della parità di trattamento economico a sancire uguale riconoscimento sociale.

E proprio qualche sua discutibile presa di posizione caduta nel vuoto come ad esempio boicottare i Giochi del Commonwealth del 2010 per questioni politiche ha confermato ancora una volta lo spirito combattivo di una delle atlete più controverse a cavallo tra due secoli. Ancora oggi Dawn Fraser, giunta alla veneranda di ottant’anni anni, non appare affatto una figuretta sbiadita dal tempo perché la sua impossibilità di essere normale è stata un incancellabile stile di vita e lei di stile specialmente libero di nome e di fatto se ne intende tanto, addirittura troppo.

Vincenzo Filippo Bumbica