David Bowie: la Musica, la Fantascienza, il Cinema

A 69 anni si spegne David Bowie. Un artista dalla rara “genialità poliedrica”, che con la sua creatività ha influenzato profondamente la storia del rock e della musica.

Sì, perché ogni canzone del “Duca bianco” non è mai semplicemente una canzone; ma un’opera stratificata, una “ricerca creativa” per spingersi oltre i canoni tradizionali, per stupire, anche dal punto di vista scenico (famosi gli stravaganti ed “eccessivi” costumi indossati sul palco, o i suoi “look eclettici”, diversi per ogni spettacolo) e rappresentare qualcosa di mai visto prima. Stupore, meraviglia, malinconia è ciò che si “respira” in molte delle sue opere, anche se la sua produzione è talmente vasta che risulta difficile riunirla in un’unica classificazione.

Oltre a ciò David Bowie , è stato uno dei primi a portare la fantascienza nella musica, con risultati irripetibili, che rappresentano il vertice della sua composizione. Pensiamo a brani come “Space Oddity”, “Starman”, “Life on Mars”, spingendosi addirittura ad ideare un intero album, incentrato sul 1984 di Orwell (“Diamond Dogs”, di cui “Rebel Rebel” è una delle canzoni più famose).

Ed è chiaro quindi come la sua forte vena artistica lo portasse a concepire l’arte nelle sue svariate forme: musicali e visive, al punto da oltrepassarne i limiti convenzionali, per valutarla nel suo insieme, come un’unica grande “epopea artistica”, (come quella di Ziggie Stardust , in uno dei suoi album più famosi).La passione per il Fantastico e il fascino dell’arte estetica, da lui insistentemente ricercata, lo hanno portato anche ad essere attore per il cinema.

Per ricordarlo anche in questa veste, parliamo di due film: “Labyrinth” (1986) e “L’uomo che cadde sulla Terra” (1976)

Labirinth

La trama in breve: Sarah (una giovanissima Jennifer Connely) è una ragazza di quindici anni, che non accetta la separazione dei genitori. La nascita del nuovo fratellino, avuto dal padre con un’altra donna, la spinge a rifugiarsi nelle fiabe e nell’immaginazione.Un giorno, mentre viene lasciata da sola col fratello per fargli da baby sitter, in un attimo di gelosia nei suoi confronti, esprime un “pericoloso” desiderio. Desidera che il bambino venga rapito dal Re dei goblin(David Bowie). Con orrore scopre che le sue parole sono divenute realtà. Trasportata nel mondo fantastico dei racconti da lei amati, è costretta ad affrontare il Labirinto, al centro del quale si trova la dimora dell’eccentrico sovrano e a trovarne l’uscita entro tredici ore, trascorse le quali le quali suo fratello sarà trasformato irrimediabilmente in un goblin.

Capolavoro del genere, Labirinth è un film visivamente geniale. Una favola dark, perfettamente orchestrata nei meandri del Labirinto che vi fa da sfondo, potente metafora delle infinite biforcazioni dell’immaginazione umana.Un omaggio puro alla Fantasia, che contiene al suo interno una profonda riflessione sul rapporto tra realtà e immaginazione, vissuto attraverso gli occhi di un’adolescente, che si appresta a passare dall’età infantile a quella adulta.

Come una nuova Alice,infatti, la protagonista affronta le sue paure, il suo senso di colpa, le sue contrastanti emozioni, addentrandosi in un mondo al di fuori di ogni logica, popolato da mostri e creature bizzarre, in cui finirà per affrontare se stessa  e i profondi cambiamenti che si stanno verificando in lei.

Divertente, a tratti inquietante, il film è dotato di grande attrattiva, per i temi affrontati, ma anche per il modo in cui riesce a mescolare con equilibrio meraviglia ed “orrore”, grazie ad effetti speciali “antichi” e di mestiere, come sono quelli realizzati dal regista Jim Henson (il creatore dei Muppet).Fotografia e costumi non sono da meno, veicolo di una creatività che sembra inesauribile.

Ed il principe di questo affascinante “regno delle illusioni”, non poteva che essere lui, David Bowie.Stravagante, ironico, ammaliante, è un “cattivo” che lascia il segno per la sua originalità e il suo istrionismo, animando il film con la sua enigmatica figura e ovviamente, con la sua  musica, (“Magic Dance”, il brano più famoso del sound-track). Un ruolo calzato a pennello per il “camaleonte” del rock. 

L’uomo che cadde sulla terra (1976)

Tratto dal romanzo di Walter Travis, narra la storia di un alieno disceso sul pianeta Terra in cerca di acqua per salvare il suo pianeta morente. Assunte fattezze umane e una falsa identità, grazie alle sue conoscenze scientifiche, riesce ad ottenere il controllo della più influente industria tecnologica del tempo. Il suo fine: costruire un’astronave per ritornare nel suo mondo.

I suoi piani però vengono interrotti dalla Cia e dal governo che, scoperta la sua natura, lo catturano impedendogli di partire ed operano su di lui esperimenti scientifici, appropriandosi al contempo delle sue ricchezze. Tradito dai pochi esseri umani cui aveva confidato la sua reale natura, finirà a poco a poco col diventare sempre più umano, assumendo però i vizi e le disillusioni degli uomini, per divenire infine prigioniero di una normalità avvilente, da cui non sembra più possibile fuggire.

Film che lanciò David Bowie nel mondo del cinema, si tratta di una pellicola dallo stile difficile, volutamente frammentato, “ellittico” e disturbante, che si pone dal punto di vista dell’alieno, spaesato e disorientato da un mondo che appare ai suoi occhi come privo di senso, proprio perché troppo distante da lui.

Il “duca bianco” interpreta con efficacia la fragilità e la vulnerabilità di quest’essere sconosciuto, esile e poco incline al sorriso, “precipitato” in un luogo a cui non appartiene (è costretto a bere continuamente acqua per non disidratarsi), un luogo da cui non riuscirà più a partire e che, nonostante i suoi sforzi, rimarrà a lui sconosciuto, per la sua incapacità di vivere come gli altri uomini, dovuta forse all’impossibilità di provare reali emozioni.

Come si è visto i personaggi interpretati da David Bowie in queste due pellicole appartengono al genere fantastico, una passione che sembra animare anche suo figlio Duncan Jones, giovane e talentuoso regista di fantascienza, autore di ottimi film quali “Moon”(2009) e “Source Code” (2011), nonché di “Warcraft” (prossimamente nelle sale), segno che nelle sue vene scorre il sangue artistico e creativo del padre.

Francesco Bellia