Crisis in six scenes: provaci ancora Woody Allen

Da poco più di un mese Amazon Prime Video è disponibile anche in Italia con centinaia di film e serie tv. Il colosso americano della distribuzione ha deciso così di sfidare Netflix raggiungendo 200 paesi. Vantando anche ottime serie tv come “Transparent” e “Mozart in the jungle”.

Qualche settimana fa, aprendo la pagina di Amazon per spulciare le offerte, mi sono imbattuta in quello che il mio portafogli potrebbe considerare un colpo di fortuna: ero stata distratta dalla pubblicità che in caratteri cubitali sponsorizzava la nuova serie mandata in onda proprio su Amazon,” Crisis in six scenes”, scritta, diretta ed interpretata da Woody Allen in persona.

Inutile dirvi che le aspettative erano abbastanza alte. Amazon Video ha già prodotto due serie che hanno riscosso grande successo “Mozart in the jungle” e “Transparent”, ma soprattutto per il padre di “Manhattan”, “Io e Annie”, “Prendi i soldi e scappa”, “Blue Jasmine”, “Vicky ,Cristina, Barcelona”, l’ultimo “Cafè society”, e potrei stare qui ad elencarvi tutti i film di Allen, insomma la sola presenza del  genio comico per eccellenza mi ha fatto sperare in un capolavoro.

Aspettative che purtroppo la serie non è stata in grado di mantenere. Le puntate sono solo sei, da venti minuti l’una. La serie è stata pubblicata il 30 settembre negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania e rappresenta a tutti gli effetti il film più lungo che Allen abbia mai prodotto, dalla durata di 120 venti minuti rispetto ai 90-100 intorno ai quali si muove sempre. Sì, ho detto film perché la serie in realtà è stata pensata da Allen come un film da suddividere in sei tronconi. E probabilmente proprio questa necessità di “allungare il brodo” ha portato al venir meno dell’abituale sintesi che troviamo nelle sue migliori opere. E sfoltita qualche scena inutile e prolissa quello che ne rimane è un film di Woody Allen come tanti altri e non migliore degli altri.

Non ha senso quindi parlare di tv in questo caso, considerando che probabilmente Allen abbia accettato principalmente perché Jeff Bezos, capo di Amazon, pare gli abbia offerto 15 milioni di dollari. Ed è lo stesso regista ad aver ribadito in più interviste :” Non farò mai più serie televisive finché sarò in vita […] è stato molto più difficile di quanto pensassi”.  E non ha altrettanto senso paragonare la serie alla molto più riuscita Mad Man che, ambientata anch’essa negli anni ’60, racconta, come Crisis in six scenes, di un ex pubblicitario che passa da essere la punta della modernità ad un rottame del vecchio mondo. Questo però Allen non lo sa, perché il regista non segue la tv, se non per guardare lo sport. Ignorando il fatto che il pubblico del cinema è lo stesso pubblico della televisione e delle serie tv.

La trama è piuttosto semplice, racconta di una coppia di anziani ( lo stesso Allen e Elaine May), che una notte si ritrova in casa una hippie in fuga (Miley Cyrus) dalla polizia, in attesa di scappare verso Cuba. La ragazza porterà scompiglio ed idee rivoluzionarie in casa. Ma la scelta di spostare l’azione cinquant’anni nel passato è un po’ difficile da comprendere visto che gli argomenti cliché della controcultura americana degli anni ’60 vengono trattati superficialmente, coinvolgendo di tanto in tanto il Vietnam e i Black Panthers. Per tutte le sei puntate il messaggio di Allen risulta sempre lo stesso: i liberali si dicono pronti a cambiare il mondo ma solo con le chiacchiere.

Non è un caso che la parte più comica e divertente della serie è relegata all’ultima puntata, con le idee rivoluzionarie e destabilizzanti che le anziane signore del club del libro iniziano a sostenere dopo aver letto il libretto rosso di Mao. E non è un caso che la Cyrus sia quasi del tutto assente nella puntata, facendo capire al pubblico che l’aspetto politico e attivistico che sarebbe dovuto risaltare non funziona praticamente mai. D’altronde la colpa non si può dare all’interpretazione se non ad un Woody Allen svogliato che non ha guidato la ragazza.

Doveva essere una storia complessa, tra letteratura e cinema, che parla di uno scrittore che vorrebbe essere come Salinger, ma si ritrova a fare slogan pubblicitari. Il vero problema è che l’elemento di discontinuità rappresentato nella serie (l’arrivo della ragazza hippie) non viene visto da Allen come la causa di una presa di coscienza ,non guarda, quindi, quell’attivismo con favore, ma come un lavaggio del cervello collettivo.  Descrivendo l’arrivo della ragazza come la più classica delle mode piccole borghesi :il concetto di “radical-chic” che si materializza nel salotto di casa.

Il problema di Crisis in six scenes è che la serie non sembra affatto un’opera di Allen. Tralasciando le tipiche musiche,le  luci, la recitazione, i testi e la stessa presenza del regista nel film, se paragonato a Blue Jasmine o Cafè society non sembra essere uscita dalla stessa mente per quanto è tecnicamente scadente.  I tempi risultano essere troppo lunghi, essendoci  conversazioni che sarebbero potute essere brevi ed asciutte, la musica poi viene mixata male, quasi a voler fare da riempimento ed è inevitabile che lo spettatore si annoi già alla prima puntata e continui a guardare la serie fino alla fine sperando in un miracolo.

Provaci ancora Woody…

Anzi, Prendi i soldi e scappa.

Francesca Valentina Troiano