Cosa mangiava Giacomo Leopardi? – #fooks

Quando la pagina Facebook “Se i Social network fossero sempre esistiti” ha cominciato ad immaginare la vita social di Giacomo Leopardi, forse non aveva idea di quanto si avvicinasse alla realtà la sua passione per la Girella. Pare che il poeta, infatti, fosse un buongustaio e, seppur diabetico, andasse matto per i dolci. Per questo, abbiamo cercato di scoprire cosa mangiava Giacomo Leopardi.

Genio indiscusso come pochi altri, Leopardi già dalla sua infanzia sostituì lo studio al gioco. All’età di 15 anni parlava già diverse lingue, fra cui il francese, il latino, il greco antico e l’ebraico. Proprio a questo studio “studio matto e disperatissimo”, per citare le sue parole, Leopardi imputa la causa delle sue precarie condizioni di salute. In realtà, secondo gli studiosi queste erano dovute ad una malattia genetica, molto probabilmente causata dalla consanguineità dei genitori.

Viaggiò molto per l’Italia non ancora unita: Roma, Firenze, Bologna e Pisa furono le sue mete, per fuggire dalla sottomissione al padre e dalla chiusura culturale di Recanati. Ed ovviamente Napoli, dove morì. E dove, nella Biblioteca Nazionale, il ritrovamento di due foglietti lunghi e stretti di carta ingiallita ci ha permesso di scoprire cosa mangiava Giacomo Leopardi nella capitale del Regno delle Due Sicilie.

La lista di ricette, 49 in tutto, fu scritta dallo stesso Leopardi a Napoli, ospite dell’amico Antonio Ranieri. Qui il poeta apprezza tutto, dall’arte alla gente, dall’atmosfera alla cucina di Pasquale Ignarra, cuoco e rivoluzionario (partecipò ai moti del 1799). Ignarra non gli fece assaggiare solo le specialità del Regno delle Due Sicilie, ma anche piatti della tradizione ligure, laziale, romagnola e marchigiana. Così, nella lista trovano posto fiori di zucca fritti, bignè di patate, polpettone, cacio cotto, zucche e insalate con ripieno di carne, erbe strascinate, cervelli fritti al burro con uova, brodo e limone, frittelle di semolino, pasticcini di maccheroni o maccheroncini, tortini di grasso e di magro.

Ma ciò che lo mandava letteralmente in estasi erano i dolci, primi fra tutti le sfogliate frolle (ne andava matto) ed i gelati “di latte e di miele”, che verosimilmente aveva assaggiato nelle feste di paese. Comprava tre gelati alla volta, in modo da assaggiare contemporaneamente gusti diversi. Questa sua passione per i dolciumi, secondo alcuni studiosi, gli causò la morte. L’ultima sera di Leopardi, il 13 giugno 1837, cadeva Sant’Antonio, onomastico di Ranieri. Per l’occasione, furono portati in casa svariati cartocci di confetti cannellini di Sulmona; Leopardi ne mangiò un chilo e mezzo, bevve una tazza di brodo di gallina e una limonata gelata. Pare che la scorpacciata gli fu fatale: morì la mattina successiva per coma diabetico.

Questa ipotesi, assieme ad altre più fantasiose (cibo avariato, congestione o indigestione, colera), non è riuscita a smentire il referto ufficiale, secondo il quale Leopardi sarebbe morto per idropisia polmonare. Tuttavia, ci piace pensare che il suo ultimo naufragare fu davvero in un dolce mare… di confetti!

Emilia Granito