COP21: possibile cambio di rotta sul clima

Dopo anni di fallimenti per raggiungere un accordo globale sul cambiamento climatico, la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP21), che si è aperta lunedì a Parigi, potrebbe rappresentare la svolta decisiva per giungere alla firma di un accordo. L’obiettivo, infatti, è quello di concludere il primo accordo universale e vincolante per limitare l’aumento delle temperature a 2°C rispetto all’epoca pre-industriale. I negoziatori hanno elaborato un testo che molto probabilmente sarà adottato ed alla cui stesura hanno partecipato attivamente – come mai era successo prima – anche le imprese e le associazioni ambientaliste. I governi e le banche di sviluppo stanno raccogliendo fondi per aiutare i paesi più poveri a prepararsi per un clima che cambia; persino i leader religiosi hanno parlato dei pericoli di un cambiamento climatico mondiale incontrollato.

Cos’è la COP21. È la ventunesima Conference of the parties nell’ambito della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC), che si sta tenendo a Parigi – di preciso, a Le Bourget – dal 30 novembre all’11 dicembre e vedrà la partecipazione di 150 paesi. La UNFCCC è il principale trattato internazionale sul clima, riconosce l’esistenza di un cambiamento climatico causato dall’attività umana e attribuisce ai paesi industrializzati la responsabilità principale nella lotta contro questo fenomeno. La Conference of the parties si tiene una volta l’anno e nel corso di essa sono adottate le misure per rispettare gli obiettivi della lotta ai cambiamenti climatici. Le decisioni possono essere prese solo all’unanimità, attraverso il meccanismo del consenso. La Conferenza di Parigi può essere vista come la fine di un ciclo di negoziati e si inserisce nel quadro del prolungamento della grande Cop del 1997, sfociata nell’adozione del Protocollo di Kyoto, che si può ormai definire superato – scadrà nel 2020 e dovrebbe perciò essere sostituito dal nuovo testo che è al centro dei negoziati della COP21.

Quali obiettivi ha la COP21. L’obiettivo principale, come già detto sopra, è quello di concludere il primo accordo universale e vincolante, applicabile a partire dal 2020 ai 195 Paesi firmatari della UNFCCC, per limitare l’aumento delle temperature a 2°C rispetto all’epoca pre-industriale. Di conseguenza, l’accordo di Parigi, da un lato, dovrà arrivare a una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra; dall’altro dovrà determinare il modo in cui la reazione al cambiamento climatico sarà finanziata. Riguardo a questo secondo punto, infatti, alla conferenza di Copenaghen del 2009 i paesi sviluppati si impegnarono a investire 100mld di dollari per consentire ai paesi in via di sviluppo di lottare contro i rischi legati al clima e di impegnarsi a favore di uno sviluppo sostenibile; tuttavia, a giugno del 2015 solo 4mld di dollari dei 10,2mld promessi da una trentina di paesi sono stati sbloccati.

Gli ostacoli e le incongruenze dell’accordo. I principali punti di frizione riguardano la responsabilità storica del riscaldamento globale e la ripartizione degli obblighi. I paesi emergenti sostengono che la responsabilità sia soprattutto dei paesi industrializzati e si rifiutano di subire le stesse limitazioni; da parte loro i paesi più ricchi sostengono che la divisione tra paesi industrializzati ed emergenti non sia più valida (oggi, la Cina è il primo paese inquinatore del mondo, seguita dal terzo posto dell’India). Un altro argomento delicato è la scelta dei meccanismi che consentono di verificare gli impegni degli stati in materia di lotta contro il riscaldamento globale. Infine, per concludere un buon accordo i negoziatori dovranno convincere gli stati più reticenti e tenere conto delle richieste degli stati insulari, più vulnerabili ai rischi climatici e che per questo chiedono di abbassare ulteriormente la soglia dei 2°C. Non da ultimo, vi è la situazione degli USA, che non vogliono un trattato vincolante dal punto di vista giuridico: in particolare, il presidente Obama, per approvare l’accordo, avrebbe bisogno del voto favorevole del senato statunitense, che è a maggioranza repubblicana.

I possibili risultati. In vista della conferenza di Parigi, ai singoli stati furono dati nove mesi, scaduti il 30 ottobre, per presentare il loro impegno per la riduzione delle emissioni dei gas serra; tuttavia, l’analisi dei contributi noti finora ha rivelato che questi non saranno sufficienti per raggiungere l’obiettivo dei 2°C. Secondo le stime (peraltro discordanti), gli impegni degli stati si tradurranno in un aumento delle temperature dai 3,5 ai 2,7 gradi entro il 2100: di fronte a questa situazione c’è chi propone un accordo che preveda la possibilità di ritoccare al rialzo gli obiettivi.

Al di là di quale sarà la strada scelta, la COP21 sarà importante per consentire ai governi di coordinare le loro politiche sulle emissioni, aiutando al tempo stesso i paesi ad adattarsi ai futuri cambiamenti climatici. Verosimilmente, la conferenza potrebbe chiudersi con alcuni impegni largamente condivisi e con la decisione di esaminare periodicamente i provvedimenti applicati dagli stati. In questo senso la COP21 potrà rappresentare un passo in avanti non trascurabile. A conferenza finita, però, dovrà cominciare l’effettivo processo di riduzione delle emissioni di carbonio nella produzione di energia (chiamato processo di “decarbonizzazione”), dal momento che la COP21 potrà avere successo solo se gli accordi si tradurranno in azioni: per questo motivo, la comunità scientifica dovrebbe coltivare la ricerca su aspetti che siano direttamente rilevanti per i politici e continuare a valutare le cause del cambiamento climatico ed i suoi impatti. È necessario allora che gli scienziati si concentrino sulle soluzioni, coinvolgendo gli esperti dei paesi in via di sviluppo (che hanno indubbiamente una maggiore esperienza su quanto avviene nelle loro regioni), pur continuando ad affinare la comprensione dei meccanismi del cambiamento climatico.

Emilia Granito