Conferenza umanistica alla Cattolica di Milano

Il giorno 28 aprile 2015, alle 15.30, si è tenuta presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano la terza edizione del convegno “Carmina non dant panem?”, finalizzata ad indirizzare al mondo del lavoro i neolaureati in discipline umanistiche. La conferenza era aperta anche ai docenti e agli studenti delle scuole superiori interessati alle facoltà letterarie e filosofiche.

Non mentiamo: che piaccia o no, le lauree umanistiche sono quelle che la società di oggi ci costringe a giudicare “deboli” viste le prospettive lavorative che offrono. In effetti, le lauree che vanno per la maggiore sono certamente ingegneria e medicina, seguite dalle discipline scientifiche e linguistiche, con tutte le loro diverse specializzazioni. Inoltre, anche le statistiche di AlmaLaurea non mentono: come ricordato all’inizio della conferenza, rispetto al 70% della media nazionale di occupazione dei neolaureati, il 65% di quelli che intraprendono facoltà umanistiche trova lavoro dopo breve tempo (rimando all’indirizzo http://www.almalaurea.it/ sotto la voce “Università – Indagini e ricerche” per informazioni più dettagliate). Eppure, sembra che non tutto sia perduto per gli “umanisti” (mi riferirò così nel corso dell’articolo ai neolaureati in discipline umanistiche): scopo della conferenza è stato presentare attraverso la voce di diversi ospiti quali prospettive di impiego attendano un umanista.

Alla conferenza erano presenti il dottor Michele Faldi, Direttore della Didattica, della formazione post-laurea e dei servizi studenteschi della Cattolica, il professor Angelo Bianchi, preside della facoltà di lettere e filosofia, la professoressa Antonietta Porro, docente e ideatrice del progetto, ed ex studenti dell’Università Cattolica: Silvia Consonni, professoressa di scuola superiore presso Treviglio (BG), la dottoressa Marina Mojana, storica dell’arte,art advisor di Intesa San Paolo, il dottor Renzo Noceti, laureato in lettere, partner di una società di excecutive search, e il dottor Alberto Piccolo, laureato in filosofia teoretica, responsabile Training Centre di Deutsche Bank.

Nel corso della conferenza, ognuno dei relatori ha ribadito il proprio punto di vista in merito al rapporto che le facoltà umanistiche hanno con il mondo del lavoro oggi. Si deve ammettere che effettivamente gli umanisti sono un po’ svantaggiati a trovare impiego, pur avendo acquisito un bagaglio culturale di conoscenze, esperienze e competenze assai cospicuo. E’ dunque importante saper declinare un tale valore per creare delle “relazioni bidirezionali”, come le ha definite il preside Bianchi, fra lo studio e il lavoro, così da formare una struttura capace di comunicare sia conoscenze sia competenze. In sostanza, bisogna capire i processi economici che sono in atto nella nostra epoca per poterli sfruttare al meglio: sono processi interni ed esterni al mondo accademico (oserei dire anche scolastico) che hanno agevolato la creazione in pochi anni di nuove figure professionali e diverse se ne verranno a creare in futuro. “Il lavoro sta andando in avanti, mentre lo studio sta tornando indietro” ha affermato nel suo discorso il dottor Noceti. Una riflessione del genere ha dato adito all’affermazione del dottor Faldi: “La fuga di cervelli è la consapevolezza dell’esistenza di questi cervelli la cui valorizzazione in Italia è arretrata”. Fra scuola, università e lavoro pare sussistere un “gap” incolmabile che non riesce a favorire una serena continuità fra i tre universi!

Gli umanisti lo sanno: il “pane” a cui si riferisce il titolo non è solo remunerativo, ma è anche un’opportunità di crescita, mossa dalla felicità, dall’interesse e dalla passione nell’adempiere ciò che si vuole fare. Indipendentemente dalla facoltà scelta (umanistica o scientifica), per diventare parte integrante di un panorama più ampio e per poter accedere al mondo del lavoro sono necessari dei sacrifici, ma non come quelli propinati da qualche ministro tecnico piagnucolone! Sono necessari studio serio e occhi aperti sul mondo per evitare ogni sorta di “facilismo” perché, come ha sostenuto la professoressa Porro, “il dettaglio di un affresco non ha nessun senso da solo, ma lo acquista solo se colto nell’interezza dell’opera”.

Tuttavia, “l’umanista medio” non deve pensare di risolvere i propri dubbi con le poesie d’amore e le dissertazioni kantiane sull’intelletto… E’ necessario pragmatismo, il che ricorda di non trascurare l’importanza delle lingue straniere e di capire come funziona un’azienda nella sua più o meno complessa articolazione, così da poter individuare magari posizioni confacenti al nostro indirizzo di studi.

Ogni relatore, dopo l’introduzione delle rappresentanze del dipartimento, ha avuto occasione di parlare della propria storia e della loro passione. Tutti gli ospiti hanno iniziato la loro carriera come insegnanti che oggi risulta essere l’opportunità lavorativa per la fetta più ampia dei laureati in discipline umanistiche. “E’ un mestiere in cui imparo ad imparare: settimana scorsa ho spiegato gli Inca e gli Aztechi che non ho mai trovato nelle versioni di Ovidio” ha ironizzato la prof. Consonni. Ad eccezione della professoressa, gli altri dottori si sono specializzati in settori che apparentemente non hanno nulla a che vedere con l’indirizzo di studi da loro intrapreso, come evinto dalla loro breve presentazione nelle righe precedenti. Detto volgarmente, hanno avuto l’ardire di “buttarsi” in ogni occasione che è stata loro proposta. Non si sono mai tirati indietro e Marina Mojana è giunta addirittura ad “inventarsi un lavoro”: “Sono fondatrice di Eikonos Arte, una struttura di Private Banking del Gruppo Intesa, finalizzata alla consulenza d’arte e alla garanzia di obiettività e riservatezza con i clienti”. “Io invece mi occupo di quello che si chiama learning agility. In parole povere, mi occupo di risorse umane finalizzate a inserire i meritevoli nelle aziende” spiega il dottor Piccolo.

Alla fine della conferenza ha avuto la parola un giovane neolaureato in grammatica greca che è stato chiamato ad un colloquio a pochi mesi dalla laurea. Di preciso non ricordo quale azienda lo abbia chiamato, ma gli sono stati richieste competenze in campo linguistico più che sufficienti per parlare di argomenti specifici e anche di alto livello. Ha però ammesso le carenze in campo grafico, ma l’azienda gli ha comunicato delle direttive su come poterle acquisire entro una determinata scadenza. Ciò mi invita a citare un intervento del dottor Piccolo: “Il latino vi aiuterà a risolvere i problemi è la risposta alla famigerata domanda ‘A cosa serve il latino?’”… Non so quali problemi possa risolvermi il latino per ora, ma di certo me ne ha recati tanti. Tanti problemi nelle versioni con numeri dispari minori di sei…

Come dunque è emerso, ricalcando le parole del dottor Faldi, molti sono umanisti ma fanno tutt’altro. Ma questo, direte, è stato possibile qualche anno fa, quando il mercato del lavoro offriva un ventaglio più ampio di possibilità. Oggi, un tale approccio quale e quante implicazioni potrebbe avere sulla nostra vita? A me piace essere fiducioso e confido nella parola chiave: “ESSERE PROTAGONISTI”. Creatività, solida formazione, inventiva ed entusiasmo sono ingredienti fondamentali per un discreto successo e impediscono di cadere nella mediocrità.

Rimando, a chi fosse interessato, ad un libro di Martha Nussbaum, filosofa statunitense studiosa (badate bene!) di filosofia greco-romana, “Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica“, citato dalla professoressa Antonietta Porro all’inizio della conferenza in merito alla “rivalutazione” del sistema umanistico.

Per tirare le fila del discorso, poiché siamo in clima letterario, mi viene spontaneo evocare una reminiscenza dantesca: da come è emerso da questa conferenza, il lavoro per gli umanisti e i futuri umanisti ci potrebbe essere, ma è come il ruggito di una pantera di cui se ne percepisce l’odore ma non l’esatta provenienza…

 Andrea Colore

redazione