Caos Volkswagen: ecco come funziona il trucco delle emissioni

La Volkswagen e l’intera industria tedesca dell’auto sono finite nell’occhio del ciclone in queste ultime ore per via dello scandalo che sta spopolando nel mondo con l’appellativo di Dieselgate: a finire sotto accusa è stato un particolare software capace di falsificare i dati sulle emissioni per aggirare gli standard ambientali negli Stati Uniti.

Dopo il repentino crollo in borsa fatto registrare nella giornata di lunedì, con picchi intorno al -20% e perdite in termini di capitalizzazione di mercato intorno ai 15 milioni di euro, la società sita in Wolfsburg ha reso noto che il numero delle automobili coinvolte in tutto il mondo si aggirerebbe intorno agli 11 milioni.

Numeri da capogiro, ai quali si sono aggiunti il richiamo di circa 500mila vetture da parte delle autorità Usa, il momentaneo divieto di vendita di Volkswagen e Audi in tutto il territorio statunitense e l’apertura di un’inchiesta penale che può portare sanzioni fino a 18 miliardi di dollari (37.500$ per automobile).

Certamente un duro colpo per l’intera economia della Germania, che ha da sempre fatto del mercato dell’auto uno dei settori più profittevoli ed efficienti, contando sulla qualità e specialmente sull’affidabilità delle proprie vetture. Stando a quanto affermato dall’agenzia di rating Fitch, l’impatto maggiore non risiederebbe tanto sui danni economici quanto più su quelli d’immagine: era proprio negli Stati Uniti, infatti, che il costruttore tedesco stava cercando di aumentare la propria quota di mercato.

Nello specifico, a finire sul banco degli imputati è stato un software impiantato sulle centraline dei motori 4 cilindri diesel di alcuni modelli Volkswagen e Audi, rilasciati tra il 2009 e il 2015. L’Enviromental Protection Agency (Epa), l’ente americano per la tutela dell’ambiente, ha lanciato l’accusa secondo cui questi sistemi sono stati utilizzati per ingannare i parametri nei test ufficiali che certificano le emissioni di sostanze inquinanti. Secondo Cynthia Giles, funzionaria Epa, “usare un impianto di manipolazione nelle auto per eludere gli standard ambientali è illegale e una minaccia alla salute pubblica”.

L’idea che si cela alle spalle del sofisticatissimo programma, ribattezzato “defeat device” e impiantato nella centralina per la gestione del motore diesel, è quella di modificare una serie di parametri di funzionamento per rendere i valori delle emissioni allo scarico in linea con i limiti imposti dall’Epa. Sulla base della condizione d’impiego del motore, il software riesce a tenere attivo il sistema di controllo soltanto nelle fasi di omologazione e verifica, disattivandolo invece in caso di normale guida stradale durante cui si sono fatti registrare valori fino a 40 volte in più del consentito.

Per fare in modo che la verifica abbia sempre esito positivo, il programma, pensato per nascondere le emissioni di monossido di azoto, seleziona delle variabili tipiche degli ambienti di test. Se si rispetta una determinata serie di condizioni come ad esempio la velocità del veicolo (che è nulla quando la prova è condotta sui banchi a rulli), l’angolo dello sterzo e il numero di giri motore allora la centralina effettu
a uno “switch”, passando ad una modalità di funzionamento che esegua una mappatura differente da quella standard e idonea a ridurre le emissioni. Tali mappature stabiliscono i parametri di rendimento del propulsore che giungono da dei sensori posti sulla vettura; a ciascuna di queste configurazioni corrispondono infatti diverse prestazioni in termini di potenza erogata e di conseguenza certi livelli di emissioni. Di fatto, il funzionamento è analogo a quello dei sistemi di rimappatura istantanea del motore presente su molti veicoli (modalità sport, comfort, ecc.).

Lo stesso software sarebbe in grado di riconoscere se l’auto si trova collegata ad un connettore OBD (on board diagnostics, ndr) che, dialogando con la centralina, scaricava al computer i dati del test. Con tale riconoscimento, il programma era capace di intervenire o meno, permettendo alla centralina di entrare in modalità “remap” che cambiava le funzionalità della vettura da condizione normale a quella di test: così facendo, i valori risultavano essere estremamente inferiori rispetto a quelli in condizioni di impiego reale.

Le cattive notizie per la casa automobilistica tedesca non sono però terminate; secondo il Detroit News, oltre alla sospensione delle vendite negli Usa delle vetture 2015 equipaggiate con il propulsore 2.0 TDI, l’Epa ha negato la “Certification of Conformity” necessaria per la commercializzazione delle MY 2016 con la stessa motorizzazione. Una vera e propria tegola per il rilancio del marchio in territorio americano se si considera che sul quel mercato i diesel rappresentano il 20% delle vendite totali. Per il momento, nel mirino sono finite le Volkswagen Jetta, Beetle, Golf e Passat e le Audi A3.

Dopo le parole dell’amministratore delegato del Gruppo Vw Martin Winterkorn, il quale si è pubblicamente scusato per aver perso la fiducia dei clienti e ha ribadito di voler porre rimedio lavorando appieno con le autorità per fare luce sull’accaduto, non si è fatta attendere una presa di posizione da parte del governo tedesco. Da Berlino infatti, è giunta voce che Volkswagen dovrà necessariamente collaborare con le autorità americane e fornire a breve le informazioni adeguate. Inoltre, la motorizzazione dovrà valutare se anche nel territorio della Germania si siano verificate analoghe manipolazioni sulle vetture.

Intanto, il ministro francese delle Finanze Michel Sapin ha affermato di voler “avviare un’indagine a livello europeo per rassicurare i cittadini“; in Italia, si inizia a valutare l’idea di cessare la vendita di Volkswagen nell’eventualità che anche sul nostro territorio ci siano vetture provviste del software incriminato, come suggerito dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti.

La domanda che ci si pone adesso riguarda la reale affidabilità di questi test che sono basati su delle simulazioni, in ambienti che difficilmente rispecchiano ciò che succede davvero sulle strade.

Giuseppe Forte