Il cane è il migliore amico dell’uomo per una questione genetica

Da sempre è diffusa la convinzione secondo cui il cane è il migliore amico dell’uomo. Perché questa credenza? Certo è che i gatti sono, anche se solo in apparenza, molto meno affettuosi dei cani e l’affetto che ti dà un animale peloso che abbaia non è in grado di eguagliarlo nessuno, né il pesce rosso né il canarino. La propensione dei cani a socializzare con gli esseri umani, a quanto pare, non è semplice è correlata alla presenza di alcune varianti genetiche assenti nelle specie affini, come i lupi. Queste mutazioni interessano il gene che, negli umani, è legato alla sindrome di Williams-Beuren, un disturbo che causa ritardo di crescita, ritardo mentale, stenosi aortica ed eccessiva socialità, il tratto che contraddistingue anche i nostri amici animali.

Dalla mutazione alla nascita del miglior amico dell’uomo

I risultati della ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati su Science Advances, recente giornale accessibile liberamente, è stata portata avanti dai ricercatori della Princeton University, in collaborazione con molte altre università statunitensi. Per giungere a queste conclusioni, è stata necessaria un’approfondita del corredo genetico degli animali. In questo modo, si è messo in evidenza come nel genoma dei cani, in corrispondenza della regione omologa umana dove si sviluppano anomalie in chi è affetto dalla sindrome di Williams, era presente del materiale genetico assente nei lupi.

Probabilmente, la presenza di questo materiale genetico è collegata alla ricerca di un contatto fisico con la specie umana. La possibilità di addomesticare animali con questa caratteristica ha potenzialmente portato l’uomo, inconsciamente, a selezionare nel tempo esemplari mutati per questo gene ed a farli incrociare tra loro. Ciò ha fatto sì che quella che iniziamente era una mutazione si sia col tempo stabilizzata, diventando un tratto distintivo del cane. Tutto ciò ha facilitato, nel corso della storia, il processo di domesticazione del cane rispetto al lupo. Non  merito dell’insieme di abilità cognitive, come il riconoscimento della voce o dei gesti del padrone, ma una peculiare mutazione genetica sarebbe, quindi, all’origine del rapporto uomo-cane.

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Questioni di carattere

Un’ulteriore conferma della similitudine tra il “carattere” del cane e quello dei pazienti affetti dalla Sindrome di Williams-Beuren, è arrivata da alcuni studi comportamentali che hanno messo a confronto cani e lupi. Uno degli esperimenti, prevedeva che gli animali aprissero una scatola contenente del cibo: se i lupi assolvevano al compito con rapidità, i cani perdevano tempo guardando il ricercatore che era presente in sala. Un secondo esperimento prevedeva di introdurre cani e lupi in un recinto, nel quale era presente un estraneo. Sebbene entrambi gli animali si siano avvicinati incuriositi, i lupi iniziavano a vagare, ignorando il soggetto estraneo dopo pochi secondi, i cani rimanevano accanto all’estraneo, curiosando per molto più tempo. Non a caso, l’estrema socievolezza anche con gli estranei è un altro dei tanti tratti distintivi della Sindrome di Williams.

Molte delle caratteristiche che apprezziamo nel nostro cane, quindi, le dobbiamo ad un gene mutato che l’opera di selezione dell’uomo ha contribuito a conservare. Una scoperta che, forse, avvicina ancora di più l’uomo ed il cane.