Ayrton Senna, l’uomo che correva troppo

Cielo grigio su, casco giallo giù.
Una fitta pioggia disegna cerchi sull’acqua del mare livido e biancheggiante mentre innumerevoli schizzi zampillano sul selciato delle anguste stradine che si avvitano negli arditi saliscendi di Montecarlo: il percorso del gran premio di Monaco diventa così un nastro d’asfalto lucido e sin troppo levigato.
Abbassata la visiera della luccicante protezione, allineato alla partenza, accucciato nel suo abitacolo, Ayrton Senna non cerca il blu, dove il blu non c’è: sogna il verde della corona d’alloro. A suo agio nello scenario dove fin dal primo mattino la Costa Azzurra smette tutte le sue sgargianti tonalità, quel tre giugno del 1984, raccoglie l’invito all’azzardo.


E in uno di quei giorni che ti prende la malinconia, quel pilota mistico quasi un asceta che se la porta appresso insieme a una Bibbia e alla solitudine di chi non vuol essere solo un numero ma il primo, sale in cattedra: un temerario alla guida di una macchina, la Toleman, che diventa volante. Conduce sul bagnato quel prodotto di una piccola scuderia, simile a un vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro, a un passo dal delirio.
In una spettacolare sequenza di guizzi vincenti, il semisconosciuto pilota brasiliano emerge da quell’ordalia annunciata con tutta la purezza del suo enorme talento automobilistico.

Partita dalle retrovie quella sagoma bianco blu con un puntino giallo scivola sul percorso lieve come il fruscio del raso: inventa traiettorie, accarezza curve, arrotonda angoli, evita ostacoli. Infila inesorabile, uno dopo l’altro, tutti i concorrenti arrivando a pochi secondi, neanche le dita di una mano, dell’aspirante designato al titolo, il sussiegoso francese Alain Prost detto “Il professore”, strenuo competitore al titolo nella stagione del fino allora, quasi divino signore delle piste: Niki Lauda.

La corsa a quel punto è sospesa per il peggioramento delle condizioni atmosferiche, ma quella leggendaria rimonta pone sul piano del vincitore quel ragazzo alla sua prima stagione che insegue la vittoria come se fosse un aquilone.
Nonostante l’estro giocoso della giovane età, Senna rivela a se stesso e al mondo la sua diversità col piglio del predestinato.
Il suo stile di guida riflette la sotterranea sensibilità di un introverso che vive una dimensione dominata da una feroce predisposizione alla lotta: sempre alla ricerca della padronanza assoluta del mezzo con meticolosa attenzione ai dettagli. Dolce e quieto nel privato, in pista dilata, sino a renderla prorompente, la sua personalità e diventa un avversario da prendere con le molle: arrembante e sfrontato appare sulla ribalta determinato a risalire nelle gerarchie precostituite.

E fu Senna vs Prost. Da quel momento in poi cominciò la lunga storia di un’accesa rivalità diluita nel tempo. Dieci anni di scontri al calor bianco che divennero cruenti fino a sconfinare, per ben due volte titolo mondiale in palio, in sferraglianti tentativi di sorpassi impossibili con vicendevoli eliminazioni dirette seguite da un codazzo velenoso di polemiche infinite: benzina sul fuoco divampante di rancori mai sopiti e di antipatie mal celate.
I due non si sopportavano poiché antitetici, ma paradossalmente ognuno era la riprova della bravura dell’altro: al magico istinto del paulista che guidava come un acrobata sul filo alla ricerca del suo equilibrio, il francese contrapponeva un sapiente e scientifico controllo di gara che nitido e senza sbavature gli garantiva una costanza di risultati.
L’uno contro l’altro armato, i duellanti all’occorrenza non si risparmiarono i colpi e così diventarono protagonisti assoluti del combattuto periodo 1984-1993 nel quale il mai domo pilota verde oro, finalmente a bordo di una macchina competitiva, si aggiudicò tre titoli mondiali. Senza questo handicap iniziale avrebbe certamente quantomeno pareggiato i quattro trionfi del tignoso transalpino che così suggellavano questa loro egemonia. A incorniciare questa splendida fase contribuirono con un successo a testa: Lauda, Piquet e Mansell, tutt’altro che sprovveduti piloti dalle incerte qualità. Quel gruppo di autentici satanassi del volante però, chi prima chi dopo, si disperse definitivamente alla fine del decennio. Orfano di cotanti rivali, anche un Prost finalmente satollo si era ritirato l’anno prima, l’uomo che non aspettava nessuno per soddisfare la propria interiorità nel gusto della sfida, approdò finalmente alla Williams a lungo oggetto del suo desiderio per ritornare ai fasti di una volta. Poi il primo di maggio del 1994, il trentaquattrenne Ayrton corse così forte da sorpassare il suo destino e in uno di quei giorni in cui rivide la propria vita, non arrivò al traguardo. Verso sera le sue ricomposte spoglie erano pronte per dormire la prima notte senza sogni.


I lugubri presagi e le oscure premonizioni che avevano preceduto il gran premio di Imola, si sprigionarono nefasti in una curva maledetta dove lo sfortunato pilota, andò a sbattere perdendo la vita. Le circostanze del tragico incidente non sono mai state del tutto chiarite nonostante un lungo processo, con relativa assoluzione, pesanti sospetti gravano ancora sugli allora responsabili della scuderia.
Il vivo sgomento per la sua scomparsa procurò una dolorosa emozione in ogni angolo del pianeta e milioni di lacrime rigarono il volto dei suoi connazionali al momento dell’addio.
Più di venti anni sono trascorsi da quella fatidica data, il circo delle quattro ruote è sempre più legato all’impellente necessità del business: sicurezza, sponsor e tecnologia dettano le regole di uno spettacolo legato alla logica dei numeri che talvolta, per fortuna, non sono solo cifre.
Alla fine tutto cambia affinché nulla cambi: altri piloti scriveranno altre storie degne di essere raccontate, ma nessuno come Ayrton Senna è stato così capace di toccare i cuori nel profondo.

Un campione senza tempo, nella sua trascendentale interpretazione della professione.
Un virtuoso del volante, che ha lasciato un segno indelebile nel percorrere l’epopea del pilota romantico inseguito dall’ombra della morte.
Un personaggio unico, ammantato di mistero al punto da raccontare convinto d’aver visto al suo fianco Dio in persona nel 1988 allo start del gran premio del Giappone decisivo per la conquista del titolo iridato, non può rimanere solo nella leggenda.
La sua figura svetta nel surreale e sfiora il soprannaturale come esempio di fede assoluta in se stesso e di un intimo senso di religiosità che dovrebbero appartenere a tutti gli uomini, appassionati e non della liturgia sportiva.

Vincenzo Filippo Bumbica