Audrey Hepburn: il delicato incanto di un’attrice di classe

Appariva delicata, leggera, quasi trasparente come il vetro soffiato: la sua incantevole bellezza le conferiva pose originali e mutevoli. Ingenua e regale, sofisticata e sobria, soave e capricciosa.

Icona senza tempo, modello inconfondibile di stile e portamento, innovativa protagonista della storia del costume, visse il suo tempo tra l’atmosfera di una favola e l’impatto con la dura realtà.

Audrey Kathleen Ruston nacque a Bruxelles nel 1929, da un’aristocratica famiglia inglese: figlia di Joseph Anthony e della baronessa olandese Ella Van Heemstra. Dopo un paio d’anni a causa della seconda guerra mondiale, assieme alla famiglia si rifugiò ad Arnhem in Olanda dove fu costretta non ancora adolescente, per una carestia dovuta all‘imprevista occupazione dei nazisti, a ogni genere di privazioni che furono sicuramente all’origine della cagionevolezza della sua salute con inevitabili patimenti. In quella città la giovane che per un’eccentricità del padre usava ormai il cognome della nonna materna Hepburn, frequentava il conservatorio, studiava danza sognando di diventare ballerina, ma la sua gracilità e l’eccessiva altezza la frenarono e forse anche per questo decise di tentare la carriera di attrice.

Sarà proprio la danza ad offrirle l’opportunità del suo primo ruolo importante nel film del 1952: ”The Secret People”. Così come, l’anno successivo, sarà la sua freschezza e quel suo modo di fare sottile, impertinente e introverso a convincere William Wyler ad assegnarle la parte della solitaria e nascostamente malinconica principessa Anna, schiacciata dal peso di un ruolo troppo grande per lei, nel film: ”Vacanze romane”. Accanto al vivace Gregory Peck, l’elfica Audrey ebbe uno straordinario consenso di pubblico degno corollario della vittoria all’Oscar come migliore attrice protagonista. Per questo suo modo unico di essere donna, d’incarnare quell’universo femminile fatto di grazia, sensibilità e intelligenza, seppe brillantemente interpretare i ruoli più disparati e raffigurarne incisivamente i volti.

Dagli infantili svolazzi della fresca ”Sabrina”, alla esuberante e drammatica Natascia di “Guerra e pace”; dall’entusiasta Jo, ballerina di “Cenerentola a Parigi”, alla genuina voglia di vita di “Arianna”, conquista l’amore, il  rispetto e l’ammirazione del sentimentale Humphrey Bogart, del vanesio William Holden, di Mel Ferrer(suo primo marito), dello scavezzacollo Fred Astaire e di un languido Gary Cooper. Siamo alla fine degli anni 50 e dopo queste limpide prove del suo talento, diretta da prestigiosi registi e affiancata da famosi attori, la Hepburn si affermerà in altre splendide interpretazioni che la consacreranno stella di prima grandezza.

Così nel decennio successivo, cominciò il secondo tempo della sua vita cinematografica e la diva che non voleva essere diva continuò ad imprimere nell’immaginario collettivo altre precise figure di donna: Rachel, l’orfanella pellerossa simbolo della femminilità nel western ”Gli inesorabili“ di John Houston, combattuta tra l’affetto acquisito di una famiglia di bianchi capeggiata da Burt Lancaster e il richiamo delle origini; Holly, la dolce, ambigua e fragile fanciulla che nasconde dietro il paravento di una ricercata sicurezza il bisogno di amore e di amare, nel raffinato ”Colazione da Tiffany” diretta da Blake Edwards; Reggie, la donna di classe dai dolci spigoli nella commedia  rosa con sfumature di giallo ”Sciarada” in coppia con un Cary Grant sempre brioso; Karen, la non troppo inconsapevole maestrina che attrae irresistibilmente la collega Martha(Shirley Mc Laine) in “Quelle due”, scatenando la reazione di una società bigotta; Eliza, la povera fioraia che diventa signora dell’alta società grazie all’impareggiabile maestro Rex Harrison, nel famoso musical ”My Fair Lady” di George Cukor, fine dicitore della commedia brillante; Nicole, l’eccentrica e ironica figlia di un falsario che combutta con il flemmatico e sagace Peter O T’oole  in “Come rubare un milione di dollari e vivere felici”, del 1966.

Nel frattempo Audrey aveva scoperto dentro di se una incontenibile pulsione umanitaria. L’eccezione che conferma la regola di una carriera parallela al suo percorso di vita fu la tappa intermedia scattata in quel 1959, quando girò: “Storia di una monaca”, dove il coinvolgimento totale nella parte di sorella Luke fu tale che per intensità recitativa è da molti (suo figlio Luca in testa) considerata come la sua migliore interpretazione in assoluto. Una premonizione che col tempo cambiò il traguardo della sua vita.

Dopo quel periodo d’oro l’attrice come una stella cadente, lascerà ancora qualche scia luminosa con due film che chiuderanno definitivamente quella parentesi: ”Due per la stradae ”Gli occhi della notte” del 1967. Si ripresenterà sul set a distanza di nove anni nel crepuscolare ”Robin e Marian”, indossando i panni di una badessa che si avvelena e avvelena per amore Sean Connery. Per poi sfiorire in ruoli al di là del suo tempo, attratta chissà come da un misterioso rapporto con l’inquieto protagonista Ben Gazzarra, nei film a cavallo degli anni 80,”Linea di sangue” e ”Tutti risero”.

Nella sua ultima apparizione sul grande schermo, con la naturalezza delle sue rughe ormai quasi sessantenne, Audrey Hepburn interpreta al meglio nel film Always (Per sempre) del 1988, il ruolo dell’angelo Hap e vista l’immutata dolcezza delle sue fattezze naturali accoppiata ad una crescente nobiltà d’animo, non poteva essere altrimenti: un’adeguata uscita di scena nel segno di quella classe di cui era stata sempre abbondantemente provvista. “L’eleganza è la sola bellezza che non sfiorisce mai”, disse.

Da quel momento, si dedicò anima e corpo alle sorti dei bambini dei paesi poveri del mondo e fu nominata ambasciatrice speciale dell’UNICEF. Spenderà le sue ultime risorse di vita morali e materiali per questa missione affidandone la continuazione ai due figli. A ricordare a tutti che:” Se hai bisogno di una mano la troverai alla fine del braccio”.

Vincenzo Filippo Bumbica