Alain Delon: l’uomo dalle due ombre

Sembrava uno di quei personaggi usciti dalla penna di Guy De Maupassant: una sorta di Bel Ami moderno. Un uomo innamorato prima di tutto di se stesso, un provinciale molto scaltro, cinico quanto basta e soprattutto dannatamente bello, quello che all’inizio della Nouvelle Vague si fece largo nel cinema francese della Parigi esistenziale in bianco e nero di fine anni 50.

Appena congedato dal corpo di spedizione francese in Indocina in cui si era arruolato a diciassette anni, il giovane Alain Delon, senza arte ne parte, si affrancò dai modesti lavori cui era costretto grazie al suo bell’aspetto che gli procurò l’attenzione del regista Yves Allegret. Dopo qualche altra breve esperienza, girò come protagonista nel 1958 ”L’amante pura”, assieme a quella che sarebbe diventata l’unica vera e autentica passione amorosa della sua vita: Romy Schneider. Tra i due s’insinuò subito e col tempo deflagrò un’attrazione fatale che diventò una lunga storia d’amore che non sarebbe mai finita. Nonostante fisicamente lontani, talvolta capita che debbano lasciarsi due persone che si amano tanto forse troppo rischiando di bruciarsi a vicenda; c’era un filo doppio che li teneva indissolubilmente legati: lui cercava di proteggerla in ogni modo, lei non poteva assolutamente dimenticarlo.

Entrò prepotentemente nel mondo del cinema dalla porta principale, rivelando subito una certa bravura, grazie a Renè Clement, il maestro che per primo seppe cogliere i multiformi aspetti del suo carattere e gli affidò la parte del diabolico e perfido Tom Ripley in “Delitto in pieno sole”del 1959. Un ruolo che sembrava scritto apposta per lui, figlio di una famiglia assente, ribelle con l’avventura nel sangue e una spasmodica voglia di affermazione. Le sue scelte di uomo insofferente alle regole, lo condussero a un’esistenza movimentata: alla ricerca del suo equilibrio camminava sempre in bilico sul filo attento a che non diventasse quello del rasoio e quindi fu naturale che trasferisse questa sua peculiarità a molti dei suoi personaggi cinematografici. Parecchi appiccicati addosso sulla pelle come tatuati, alcuni incontrati sulla strada di una vita nel segno del pericolo, qualcuno adottato come un amico fraterno e altri ancora da lui inventati e per questo ben curati, nutriti e lisciati.

In un campionario di circa novanta e più film, Alain Delon è stato un giovane dalla pericolosa ambizione e dai sentimenti troppo ambigui o delicati, si è messo la legge sotto i piedi o sopra le spalle, sparso il suo fascino malandrino con la noncuranza di un guascone, vissuto l’incombenza di un uomo dal destino segnato, espresso la diversità maledetta del carattere recalcitrante e, talvolta si è divertito nel raffigurare anche la leggerezza e le amenità di un eroe.

Insomma tutti questi personaggi avevano trovato subito il loro autore e scritto la propria storia prendendo spunto dal canovaccio della vita dell’attore nato a Sceaux nel 1935.
Quel profondo conoscitore dell’animo umano e raffinato esteta che era Luchino Visconti, colpito dal suo ombroso e naturale fascino, intuendo in lui altre capacità di recitazione ben lontane da quelle che poi sarebbero diventati i suoi ruoli tipici, lo scelse nel 1960 per il ruolo principale di “Rocco e i suoi fratelli”, dove Delon rende palpabile la pura umanità del protagonista. Passati due anni, il grande regista italiano lo scritturò ancora, per affidargli la parte del brillante Tancredi, l’entusiasta patriota speranzoso nel futuro, al fianco di una fulgida Claudia Cardinale, nell’affresco Ottocentesco de “Il Gattopardo”. Sempre per il cinema d’autore, diretto dal grande Michelangelo Antonioni, aveva recitato in “L’eclisse” del 1962, degno partner della brava Monica Vitti.L’anno dopo il suo Bel Ami interiore incominciò a farsi vivo nella sua vita privata e inviò un lussureggiante mazzo di fiori accompagnato da un laconico bigliettino con scritto: ”Mi dispiace”, per troncare così senza altre spiegazioni il rapporto d’amorosi sensi con Romy Schneider.
Una decisione egoistica degna del comportamento di un qualsiasi bellimbusto che ha paura di amare. Quel suo discutibile alter ego sarà poi rinnegato accanto al letto di morte della povera donna, suicidatasi il 29 maggio del 1982. In quel giorno che il flash back di tutta una vita si srotolava, fece un bilancio delle cose fatte. Capì di essere stato soprattutto un uomo senza mezzi termini che a discapito dei sentimenti al massimo alle sue donne dedicava poche e sbrigative parole. Questa volta però fu diverso e a Puppelè, (in tedesco piccola bambola, così come la chiamava), scrisse la sua lettera d’amore, l’unica, rivelando l’angolo oscuro del suo carattere che non aveva confessato neanche a se stesso: quello di un uomo romantico, protettivo e generoso, sincero pur se egocentrico, trasgressivo quanto basta e narciso all’infinito. Quel bel viso da cui traspariva una specie di sorriso non poté più nascondere l’amarezza per un grande amore perduto. Alain mai più troverà una donna così complice e rimpiangerà di non aver sposato quella bellezza angelica dall’indole libera capace di capirlo come nessuna.

E siccome in certi momenti è facile che il fascino della nostalgia perda contro la crudeltà della realtà, eviterà la cerimonia funebre. A disagio col presente poiché reduce da un ingannevole passato, rimase solo qualche ora con lei a ricordarla. Corrucciato, si mise seduto vicino alla bara a rimuginare sulle sue ombre: lo sperpero dei sentimenti e l’oscuro presagio di una triste solitudine.

A interrompere questi esuli pensieri, ci pensarono il tenero Rocco e l’arrembante Tancredi che in prima fila sfilarono, per rendere omaggio alla bella addormentata principessa del suo cuore, assieme alle tante facce della memoria: il prode e spavaldo” Tulipano nero”; il pulsante e romantico” Ribelle d’Algeri”; il gelido e solitario”Frank Costello faccia d’angelo”; Roger Sartet il pericoloso rapinatore de “Il clan dei siciliani”; il fatalista Daniele, professore innamorato de “La prima notte di quiete”; il duro e audace Rock Siffredì di” Borsalino”; il crepuscolare Corey con i suoi amici a formare il trio de ”I senza nome”; il diabolico visionario dottor Deviliers “L’uomo che uccideva a sangue freddo”; l’acrobatico giustiziere ”Zorro”, il cinico strozzino “Mr. Klein”; Hugo Sennart lo “Zingaro”, risoluto e orgoglioso; l’ambizioso ispettore Boniche di “Flic story”; l’elegante e creativo bandito Pierrot le fou de “La gang del parigino” e tanti altri ancora. A chiudere il variegato corteo, il torbido omicida Jean Paul scrittore fallito de “La piscina”e il crudele ambiguo Frank Jackson, l’invasato criminale de”L’assassinio di Trotskij”, che ebbero il diretto piacere di dividere il set con lei.


Nel proseguimento della sua vita Alain Delon ha rallentato la carriera scegliendo ruoli quasi per niente estremi, ha conosciuto l’altra faccia della medaglia negli affari, ha amato sempre più donne con sempre meno successo nonostante la gioia di due nuove paternità e per sua fortuna è stato tanto altro. Ultrasettantenne però ha dovuto confrontarsi con il più terribile dei nemici: la depressione. Seppur sempre più trasognato, malinconico e assente ha lottato perché ha scoperto che sul palcoscenico di un teatro, s’invecchia molto più lentamente. Oggi ottuagenario la voglia, il coraggio e la fantasia di rimettersi in gioco gli vengono meno. I suoi famosi occhi azzurri non scintillano più come prima e la voglia odierna di nascondersi significa che l’attore non può più salvare la vita all’uomo che aspetta rassegnato la sua prima notte di quiete.

Vincenzo Filippo Bumbica